Per una transizione biologica
L’agroecologia in Europa
L’Europa punta decisamente sul biologico ma fino ad oggi le sovvenzioni sono andate quasi interamente all’agricoltura convenzionale. E in Italia la quota ‘green’ è ancora più bassa, in relazione alla superficie destinata al bio nel nostro Paese. La contraddizione tra intenzioni e realtà è emersa in modo evidente nelle dichiarazioni del Commissario UE all’agricoltura Janusz Wojciechowski che, presentando il Piano d’Azione europeo per il biologico 2021-2027, ha spiegato che solo l’1,8% dei fondi della PAC (la Politica agricola comune) è andata a sostenere la produzione biologica, affermando che tale quota per il futuro dovrà essere aumentata. Il bio europeo copre circa l’8% delle superficie agricola. In Italia, dove i campi ‘pesticidi free’ arrivano a quasi il doppio della media UE (15,8%), la percentuale di fondi della PAC destinata al bio è del 2,3%. In termini relativi, dunque, ancora più bassa di quella della media dei Paesi UE.Il Quaderno Cambia la Terra 2021
È proprio per mettere l’accento sulla necessità di una ulteriore svolta verso l’agroecologia e le produzioni biologiche anche a livello nazionale che Cambia la terra ha elaborato un Quaderno che spiega quali sono le ragioni per chiedere maggiore coraggio ai decisori pubblici, affinché la transizione ecologica sia anche una transizione biologica.
La transizione ecologica ha nell’agroecologia un caposaldo, come sancisce l’Europa con il Green Deal. Ma a livello nazionale, dunque, mancano ancora gli strumenti per realizzarla. “Quello che chiediamo ai decisori politici è di non sprecare l’occasione che abbiamo, con il Recovery Fund e la nuova PAC, per disporre delle risorse necessarie per un salto di qualità reale verso un’agricoltura che tuteli il benessere dell’ambiente, degli animali e delle persone. Una scelta ancor più necessaria dopo questo drammatico biennio Covid – conclude Mammuccini – , in cui si è dimostrato come l’agricoltura sostenibile sia un elemento strategico non solo dello sviluppo ma anche della stessa sopravvivenza di un mercato alimentare”.
Il nostro Paese potrebbe quindi giocare un ruolo da protagonista nello sviluppo dell’agroecologia sia a livello europeo che mondiale e dare un contributo strategico per definire un nuovo modello agricolo, alimentare e territoriale che, anche a partire dal G20 a Presidenza italiana, possa caratterizzarsi per un approccio ecologico su cui costruire il futuro dell’economia agricola, alimentare e territoriale.
Infatti, oltre ad avere una percentuale di superficie agricola destinata al bio pari a quasi il doppio rispetto alla media europea, ci sono oltre 80.000 imprese che operano nel comparto. Il reddito delle aziende bio è superiore del 15% rispetto a quello delle aziende convenzionali (fonte: Bioreport Crea) e con ricadute sociali migliori, considerato che la componente lavoro incide per oltre il 50% in più rispetto al convenzionale. E le conseguenze virtuose del bio sull’ambiente, in termini di maggiore biodiversità e minore inquinamento sono inequivocabili: basti pensare che ogni ettaro di suolo coltivato con metodi biologici è in grado di immagazzinare ogni anno fino a mezza tonnellata di carbonio, sottraendolo dall’atmosfera.
Per questo le realtà del bio e le associazioni ambientaliste di Cambia la Terra chiedono un’inversione di rotta, urgente e sempre più necessaria, anche nell’imminenza della scadenza della consegna del PNRR: l’integrazione tra natura e produzioni agricole e zootecniche è la chiave di volta per una vera transizione ecologica dell’agricoltura.
Il nostro Paese potrebbe quindi giocare un ruolo da protagonista nello sviluppo dell’agroecologia sia a livello europeo che mondiale e dare un contributo strategico per definire un nuovo modello agricolo, alimentare e territoriale che, anche a partire dal G20 a Presidenza italiana, possa caratterizzarsi per un approccio ecologico su cui costruire il futuro dell’economia agricola, alimentare e territoriale.
Infatti, oltre ad avere una percentuale di superficie agricola destinata al bio pari a quasi il doppio rispetto alla media europea, ci sono oltre 80.000 imprese che operano nel comparto. Il reddito delle aziende bio è superiore del 15% rispetto a quello delle aziende convenzionali (fonte: Bioreport Crea) e con ricadute sociali migliori, considerato che la componente lavoro incide per oltre il 50% in più rispetto al convenzionale. E le conseguenze virtuose del bio sull’ambiente, in termini di maggiore biodiversità e minore inquinamento sono inequivocabili: basti pensare che ogni ettaro di suolo coltivato con metodi biologici è in grado di immagazzinare ogni anno fino a mezza tonnellata di carbonio, sottraendolo dall’atmosfera.
Per questo le realtà del bio e le associazioni ambientaliste di Cambia la Terra chiedono un’inversione di rotta, urgente e sempre più necessaria, anche nell’imminenza della scadenza della consegna del PNRR: l’integrazione tra natura e produzioni agricole e zootecniche è la chiave di volta per una vera transizione ecologica dell’agricoltura.
Le richieste che vengono rivolte ai decisori politici sono in particolare:
- l’approvazione della legge sul biologico, che si attende da dieci anni e comprende tra l’altro la definizione di un marchio del biologico italiano;
- il Piano Strategico Nazionale della PAC 2023-2027 che individui obiettivi strategici di crescita del bio, con gli interventi concreti per raggiungerli (sostegno alla conversione e al mantenimento del bio, attività finalizzate all’aumento della domanda)
- un piano strategico per la ricerca e l’innovazione;
- rinnovo del Piano di Azione Nazionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, scaduto da 3 anni e ormai “invecchiato” rispetto agli obiettivi della Strategia Farm to Fork;
- cancellazione dei sussidi perversi ai pesticidi che oggi godono di un’IVA agevolata al 10% (come proposto in un emendamento alla legge di bilancio 2021);
- riduzione dell’Iva ai produttori biologici, che con il loro lavoro regalano benefici alla comunità in cui vivono, e credito d’imposta per i costi legati alla certificazione delle aziende che possa aiutare a contenere i costi e dunque i prezzi;
- innovazione digitale per garantire maggiore trasparenza alla filiera anche attraverso il sistema blockchain.
Il Quaderno di Cambia la Terra è stato elaborato da:
Renata Alleva (nutrizionista, Isde); Lorenzo Ciccarese (Ispra); Damiano Di Simine (Legambiente); Franco Ferroni (WWF); Goffredo Galeazzi (giornalista, Cambia la Terra); Federica Luoni (Lipu); Maria Grazia Mammuccini (FederBio); Patrizia Gentilini (oncologa, Isde); Francesco Sottile (Slow Food).
A cura di Silverback – Greening the Communication.