Un decreto del presidente della Giunta regionale toscana consente di usare anche il glifosato in prossimità dei pozzi. La denuncia viene da un gruppo di associazioni impegnate nella difesa dell’ambiente e della salute.
di Carlo Luciano
Un decreto del presidente della Giunta regionale toscana “facendo finta di recepire le norme europee consentirà di fatto l’utilizzazione agevolata del glifosato e altri 28 pesticidi. Proprio nelle aree di rispetto a ridosso delle sorgenti e dei pozzi di attingimento per la rete idrica potabile”.
La denuncia viene da un gruppo di associazioni impegnate nella difesa dell’ambiente e della salute tra cui European Consumers, ISDE Italia medici per l’ambiente e Italia Nostra Toscana che parlano del “grande bluff del Puff toscano”.
Il Puff è il Piano per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e dei fertilizzanti. E il decreto ha come scopo dichiarato la tutela delle acque sotterranee destinate al consumo umano”. Come è possibile che si sia trasformato nel suo contrario?
Il punto critico – sottolineano le associazioni ambientaliste – è che il decreto legislativo 152/2006, in vigore in tutta Italia, vieta nelle “aree di salvaguardia” lo spandimento di fertilizzanti e pesticidi con sanzioni che oscillano tra i 600 e i 6.000 euro. Invece la Giunta regionale toscana, con il suo anomalo Puff, lo agevola. “Al punto 6 del bizzarro preambolo del D.P.G.R., autorizza le aziende agricole all’uso del glifosate e di altri 28 pesticidi. Senza dover redigere ‘uno specifico piano di utilizzazione che tenga conto della natura dei suoli, delle colture compatibili, delle tecniche agronomiche impiegate e della vulnerabilità delle risorse idriche’ come previsto esplicitamente dal D.lgs 152/2006 ( art.94, comma 4, lettera c)”.
In sostanza la giunta regionale ha deciso di sostituire il piano dettagliato previsto per le aree più sensibili con un Piano regionale per l’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari e dei fertilizzanti, “unico e valido in tutti i casi”. Indipendentemente dalla particolare natura del suolo e dalla vulnerabilità dei corpi idrici.
“Con questo trucco il Puff toscano diventa un grande Bluff perché elimina il divieto d’uso di tutti i pesticidi nel raggio di 200 metri dai punti di captazione dell’acqua per uso potabile”, denunciano gli ambientalisti. “Di fatto le scelte della Regione Toscana rappresentano una minaccia per le inevitabili ricadute sulla salute umana, in particolare sulla porzione più fragile della popolazione (donne in gravidanza, neonati, bambini, anziani etc.) che vedrà ulteriormente compromessa la risorsa più importante per la vita. E per gli ecosistemi, già in pessime condizioni, ignorando che esiste una agricoltura produttiva che non fa uso di pesticidi. L’unica possibile in aree di salvaguardia, che coniuga in modo etico lavoro e salute”.
Le associazioni ambientaliste fanno presente che i prodotti fitosanitari non assorbiti dalle piante, trattenuti dal suolo o biodegradati, finiscono col contaminare le acque superficiali e sotterranee. Costituendo così un pericolo concreto per la nostra salute: “Per questo motivo la legislazione vigente ha imposto regole tassative per l’impiego dei prodotti fitosanitari nelle aree considerate a rischio distinte in zone di tutela assoluta e zone di rispetto. Nella prima zona sono ammesse solo opere di presa ed infrastrutture di sevizio, nella seconda è vietato l’accumulo e la distribuzione dei prodotti fitosanitari salvo che, l’impiego di tali sostanze sia effettuato sulla base di indicazioni di uno specifico piano di utilizzazione che tenga conto della natura dei suoli, delle colture compatibili, delle tecniche agronomiche impiegate e della vulnerabilità delle risorse idriche”.
Una decisione che appare particolarmente grave visto che lo stato della acque nella regione è critico. In Toscana nel 2016 hanno analizzato 1.000 campioni di acque per ricerca di fitofarmaci, prelevati in 250 stazioni, con i seguenti risultati. Per le acque superficiali: quasi il 45% dei campioni prelevati conteneva residui oltre il limite di quantificazione. Di questi, più del 10% conteneva residui superiori agli standard di qualità ambientale. Per quelle sotterranee: quasi il 39% dei campioni prelevati conteneva residui oltre il limite di quantificazione, circa il 4% di questi superava gli standard di qualità ambientale”.
Cosa possiamo fare? Chi si sta muovendO per contrastare queste pratiche? L’ Informazione è importante, ma l’ azione è necessaria.