L’agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti lo aveva dichiarato tossico specie per i bambini appena 5 anni fa. Ora l’Epa made in Trump ordina un cambio di rotta di 180 gradi
di Maria Pia Terrosi
Marcia indietro dell’Epa sul clorpirifos. A distanza di cinque anni dalla sua stessa valutazione che aveva individuato un legame tra l’esposizione al clorpirifos e l’insorgenza di danni cerebrali, l’agenzia protezione ambientale statunitense – a cui Trump ha imposto un drastico cambio di rotta – cambia decisamente posizione. In una valutazione resa pubblica il 22 settembre l’Epa sostiene infatti che nonostante molti anni di studio la scienza non ha ancora risolto la questione degli effetti del clorpirifos sullo sviluppo neurologico.
L’autosmentita dell’Epa non viene però a valle di più approfondite ricerche scientifiche ma semplicemente decidendo di ignorare le conclusioni di molti studi scientifici. Tra queste una ricerca pubblicata dalla Columbia University che mostrava l’esistenza di una correlazione tra l’esposizione prenatale al clorpirifos e lo sviluppo di disordini comportamentali nei bambini.
Ma sono numerose le ricerche che negli anni hanno dimostrato gli effetti dannosi del clorpirifos. Ad esempio sul sistema nervoso centrale e periferico, su quello endocrino, sulla riproduzione, sui reni e sul fegato. In particolare, specie nei bambini, l’esposizione al clorpirifos può avere impatti negativi sullo sviluppo neurologico, danneggiando le funzioni cognitive, generando ritardi nello sviluppo neurologico come disturbi da deficit di attenzione, perdita di QI e molte altre anomalie riferite all’apprendimento.
L’escamotage utilizzato per riuscire a togliere dal tavolo gli studi scientifici più scomodi sta nell’adozione di una nuova strategia dell’amministrazione Trump, la cosiddetta “secret science”.
Secondo il New York Times che ne ha scritto alcuni giorni fa, questa nuova valutazione dell’Epa potrebbe essere la prima applicazione pratica della nuova norma inserita dell’amministrazione Trump che prevede di dare meno peso – o addirittura escludere – gli studi scientifici basati su cartelle cliniche riservate, come appunto la ricerca della Columbia.
Il fatto è che le ricerche più complesse, che si protraggono nel tempo – come possono esserlo quelle sugli effetti dei pesticidi – si riescono a fare solo se i partecipanti possono essere sicuri della protezione della loro privacy, ovvero sapere che i loro dati personali non verranno resi pubblici. Questa protezione della privacy viene bollata come “secret science” e il risultato è l’omissione di dati considerati scomodi dall’amministrazione Trump.
L’ex amministratore dell’Epa Gina McCarthy ha commentato la valutazione Epa: “I migliori studi seguono le persone nel tempo, in modo che tu possa controllare tutti i fattori oltre quelli che stai misurando. Ma questo significa seguire la storia personale delle persone, la loro storia medica. E nessuno vorrebbe che qualcuno renda pubbliche tutte queste informazioni private”.