Dal 2009 al 2018 in Italia sono stati finanziati 70 progetti di ricerca e innovazione sul biologico. Ai quali complessivamente è andato solo lo 0,09% del totale dei finanziamenti per la ricerca
Eccesso di specializzazione e frammentarietà sono i principali difetti dei progetti di ricerca sul biologico. A dirlo uno studio promosso dalle società e dalle organizzazioni scientifiche italiane che raccolgono i ricercatori che si occupano di agricoltura biologica. L’analisi ha riguardato i progetti di ricerca nell’agroalimentare biologico, le modalità di erogazione e l’accesso ai finanziamenti.
Dall’esame dei 70 progetti di ricerca ed innovazione finanziati dal 2009 al 2018 in Italia, dal ministero Politiche agricole alimentari e forestali e dalle amministrazioni regionali, emerge una parcellizzazione unita a una difficoltà nel realizzare interventi di lungo periodo e su una scala ampia e sistemica. Limiti, secondo i ricercatori, dovuti soprattutto a mancanza di finanziamenti certi, di adeguata pianificazione a livello nazionale e di un valido coordinamento tra organismi centrali e Regioni.
Qualche numero
Complessivamente il finanziamento della ricerca nel biologico nel periodo 2009-18 a opera del Mipaaf è stato pari a poco più di 21 milioni di euro. In pratica, lo 0,09 % del valore medio del settore nel periodo. Ma soprattutto 21 milioni di euro rappresentano solo lo 0,09% del totale della ricerca in Italia, pari all’1,3% del pil.
Circa il 30% di questi finanziamenti è stato destinato ai progetti di analisi di mercato e alle attività di supporto all’amministrazione sul fronte normativo. Una quota assolutamente marginale, invece, è stata destinata alle ricerche sulla qualità degli alimenti biologici e sulla loro trasformazione.
Sono 53, invece, i progetti regionali innovativi rivolti all’agricoltura biologica. Ma anche qui per un totale di soli 14,3 milioni di euro (meno del 10% dell’intero finanziamento disponibile). Da segnalare anche il numero limitato di progetti approvati, di poco superiore al 9% del totale dei finanziamenti concessi con tali strumenti, nonostante il biologico superi ormai il 15% della superficie agricola nazionale.
Inoltre l’analisi fa emergere la necessità di aumentare la partecipazione dei soggetti coinvolti così da garantire uno scambio efficace di competenze. La necessità di un processo più partecipativo vale anche nel rapporto tra ricercatori, produttori e istituzioni. “Possiamo affermare che le istituzioni in Italia hanno saputo cogliere solo parzialmente la spinta che veniva dalla comunità scientifica nazionale del biologico e dagli attori del settore”, si legge nelle conclusioni del lavoro.
Verso gli obiettivi
Tra le raccomandazioni fornite dallo studio per garantire in futuro una ricerca di alta qualità:
- un coinvolgimento efficace e paritetico degli operatori nei percorsi di ricerca e innovazione nel biologico;
- una rapida revisione delle procedure di finanziamento dei produttori che operano come co-ricercatori, bypassando le incompatibilità degli aiuti di stato;
- una maggiore interazione tra operatori della ricerca stimolando la cooperazione tramite bandi di ricerca aperti;
- un ampliamento dei fondi destinati alla ricerca a vantaggio del biologico;
- una migliore articolazione dei percorsi di ricerca e d’innovazione tale da rispondere ad un più coordinato disegno strategico di sviluppo del settore.
Tali suggerimenti, scrivono i ricercatori, possono aiutare l’Italia a concorrere agli obiettivi dello European Green Deal e della Strategia Farm to Fork che fissano la soglia del 25% di biologico sui terreni agricoli europei entro il 2030 per migliorare la sostenibilità del sistema alimentare.