La storica associazione che 30 anni fa iniziò a interrogarsi sullo stretto rapporto tra cibo, benessere e ambiente entra a far parte del Comitato dei garanti di Cambia la Terra
di Maria Pia Terrosi
Senza dubbio a tavola si fa molto di più che mangiare. La produzione di cibo è un fil rouge che lega insieme molte cose. Dalla tutela dell’ambiente e della biodiversità alla gestione delle risorse naturali, dalla salvaguardia della salute alla giustizia sociale e alla lotta contro lo sfruttamento.
E’ esattamente quello che sostiene Slow Food – associazione internazionale no profit – che da più di 30 anni è impegnata a ridare il giusto valore al cibo, partendo dal rispetto di chi lo produce, dalla difesa dell’ambiente e degli ecosistemi, dalla salvaguardia dei territori e delle tradizioni locali. Nata negli stessi anni in cui sembrava vincete il modello fast – Fast food, Fast life – Slow Food è riuscita a lanciare un modello alternativo di vita.
Della filosofia che è alla base delle attività portate avanti da Slow Food abbiamo parlato con Francesco Sottile, docente dell’Università di Palermo e membro dell’esecutivo nazionale di Slow Food Italia.
“E’ chiaro che per Slow Food il tema del cibo è centrale e rappresenta la spina dorsale delle nostre attività. Ma attraverso il cibo noi decliniamo il nostro impegno in una serie di iniziative che vanno dal contrasto al cambiamento climatico alla conservazione della biodiversità, dalla conservazione del suolo al benessere. Ma per tutelare davvero la biodiversità occorre difendere il patrimonio di saperi legati al territorio. Altrimenti ogni forma di tutela della biodiversità, se decontestualizzata dal territorio di provenienza, non costituisce una reale salvaguardia”.
In questi giorni Slow Food è entrata a far parte del Comitato dei garanti di Cambia la Terra, che mette insieme rappresentanti delle associazioni ambientaliste e dei cittadini, personalità del mondo scientifico e ricercatori che pur facendo riferimento a diverse realtà sono accomunate dall’aver a cuore la salvaguardia della salute e del Pianeta.
Quali sono i principali punti di contatto di Slow Food con Cambia la Terra?
“Sono proprio quelli cui accennavo prima. Personalmente considero l’adesione a Cambia la Terra un percorso naturale visto che i temi che la coalizione sta portando avanti sono molto vicini all’impegno che è alla base delle attività di Slow Food sin dall’inizio. In particolare negli ultimi anni c’è stato un forte avvicinamento a FederBio: la condivisione di un percorso culturale legato alla sostenibilità ci ha portato ad avere molti punti di contatto. Penso prima di tutto al sistema di produzione del cibo basato sull’agricoltura intensiva che prevede l’impiego di pesticidi e fertilizzanti di sintesi per ottenere alimenti processati e ad alto contenuto calorico, ricchi di additivi, conservanti, zuccheri e grassi saturi. Un modello di produzione e consumo che crea squilibrio nelle dinamiche ambientali, economiche e sociali.”
Come è cambiata Slow Food in questi 30 anni?
“Oggi Slow Food è presente in 150 Paesi nel mondo grazie a una rete globale costruita intorno agli elementi territoriali che sono le nostre comunità. Siamo presenti in tutti i continenti: dall’Australia al Sud e Nord America, all’Africa. In tutti questi contesti proponiamo la stessa visione politica ma calandola e contestualizzandola nelle diverse realtà che abbiamo di fronte e alle diverse condizioni sociali e culturali. In pratica i principi rimangono gli stessi: cioè conservazione della biodiversità, tutela della biodiversità culturale, attenzione al legame con i territori, con le comunità e con i produttori locali che sono uno strumento di straordinaria importanza anche per l’economia locale.
Oggi la produzione di cibo è uno strumento di economia globale che ha pesanti effetti sui rapporti tra i Paesi. Il grano o il riso sono commodities quotate in Borsa. Tutto questo ha effetti molto gravi sugli agricoltori che perdono il controllo delle loro scelte nei loro territori. Pensiamo al land grabbing, un fenomeno di sfruttamento delle terre da parte di Paesi che non hanno nulla a che fare con quei territori. Dove peraltro vengono applicati modelli agricoli che sfruttano il suolo, le risorse, la biodiversità e lasciano un terreno impoverito. E desertificato dalla chimica di sintesi.”
Come è cambiata la realtà negli ultimi 30 anni?
“Rispetto a 30 anni fa è decisamente crescita la consapevolezza dei consumatori sul tema del cibo. Non solo vogliono essere informati su quello che consumano, ma vogliono anche sapere quello che c’è dietro la produzione di quel cibo. Questo evidentemente ha molte implicazioni in diversi campi e la nostra campagna “Buono, Pulito e Giusto” parla proprio di questo. Anche se la sensibilità su questi argomenti è cresciuta parecchio la strada è ancora lunga da fare.”
Trovarsi da ormai un anno a combattere una pandemia che senza dubbio ha dei legami con le emergenze ambientali e climatiche ha contribuito ad accrescere questa consapevolezza?
“Sì, credo che questa crisi sanitaria ci abbia portato a riflettere e riconoscere i legami tra cibo, salute, territorio, danni ambientali. Un maggior numero di persone in questi mesi si è rivolto ai mercati della terra dove sono direttamente i contadini a vendere, scegliendo prodotti di prossimità. Si tratta di strumenti straordinari di mitigazione dei cambiamenti climatici in grado di rivoluzionare modelli agroalimentari distruttivi figli della globalizzazione. Mi auguro che quando questa pandemia sarà finita, non finisca anche questa maggiore attenzione e ognuno di noi dia il proprio contributo alla transizione ecologica. “
A volte però ci si scontra con il tema prezzo…
“La scelta di un alimento in base al prezzo più basso può sembrare una scelta di sostenibilità economica, ma in realtà ci rende complici di una serie di soprusi in campo agricolo. Dobbiamo essere consapevoli che dietro una bottiglia di passata di pomodoro c’è tutta una storia. Ci sono le vite degli agricoltori e di tanti lavoratori che stanno nei campi. Quando parliamo di cibo giusto, ci riferiamo a un cibo che dà un giusto riconoscimento agli agricoltori, un giusto prezzo per i consumatori, ma anche giusti rapporti nelle relazioni sociali, non basati sullo sfruttamento. “
Parliamo di caporalato?
“In Italia di caporalato e di migranti, ma altrove lo sfruttamento assume altre forme. Il land grabbing cui accennavo avviene spesso con la connivenza dei governi locali di questi Paesi che – con una visione miope – svendono il proprio suolo a forze economiche esterne. In questo meccanismo i piccoli agricoltori locali rimangono stritolati. Su questo dobbiamo tenere gli occhi aperti e farli aprire ai consumatori. Perchè alla fine è il consumatore che con le sue scelte a tavola può fare la differenza. E qui torno a quanto dicevo all’inizio, ovvero alla centralità del cibo come strumento per discutere e accendere i riflettori su queste tematiche.”