di Antonio Cianciullo
Non si ferma. Resiste all’assedio della crisi economica. Supera le mine di un quadro internazionale molto instabile. Continua a crescere a un ritmo che per il Pil dei Paesi europei è un miraggio. Il biologico è decisamente un settore in buona salute. E sta utilizzando lo stato di grazia di cui gode ormai da molti anni per mettere in discussione il suo peso complessivo sulla scena dei consumi. Finora è stato considerato un attore di talento impegnato in una parte secondaria. Ora chiede un ruolo da protagonista perché gode dei favori della larga maggioranza degli italiani e può dare una mano a un ambiente sempre più in difficoltà.
I numeri per capire cosa può succedere sono stati resi noti alla “Rivoluzione bio”, il forum che annuncia il Sana alla Fiera di Bologna. Il bio vale il 3,8% dei consumi alimentari complessivi. Questo è il punto di partenza. Ma per comprendere quale può essere il punto di arrivo bisogna osservare trend e motivazioni delle scelte di acquisto. Prendiamo i dati segnalati da Nicola De Carne, della Nielsen. Oggi circa un italiano su sei apprezza e acquista con continuità prodotti bio. Ma c’è un altro 57% di italiani che apprezza e non compra perché trova che il prezzo sia troppo alto.
Dunque c’è un potenziale di espansione che vale quasi quattro volte il mercato attuale e che è frenato dal differenziale di costi. Come affrontare il problema? “Il prezzo al consumo del bio sta scendendo e questo è un bene anche se dobbiamo stare attenti a salvaguardare la qualità e a garantire al produttore un prezzo giusto ed equilibrato”, ha ricordato Roberto Zanoni, presidente di Assobio.
Infatti una risposta basata solo su una esasperata corsa al ribasso dei prezzi (meccanismo già sperimentato in campo alimentare con esisti drammatici in alcuni settori sia dal punto di vista della salute dei consumatori che del trattamento dei lavoratori) finirebbe per contraddire la filosofia del biologico, che è dare la priorità a prodotti che accrescono al tempo stesso il benessere dei consumatori e la salute della terra. Il punto è che il valore di entrambi questi elementi dovrebbe essere conteggiati e non lo è.
Se prendessimo in esame non la spesa per il consumo alimentare ma quella complessiva delle famiglie, il giudizio sulla convenienza del bio dal punto di vista economico cambierebbe. Scelte bio inserite in uno stile di vita coerente comportano, pe il bilancio familiare, una diminuzione dello spreco alimentare (che in Italia vale 15 miliardi di euro l’anno), delle spese crescenti per gli integratori alimentari suggeriti dal nutrizionista, degli abbonamenti in palestra. E anche dal punto di vista del bilancio nazionale la convenienza di un’agricoltura che abbatte l’impatto serra di quella tradizionale (oggi il settore pesa per il 10% delle emissioni di gas che alterano il clima), restituisce fertilità ai suoli e riduce il rischio idrogeologico comporta benefici che andrebbero pesati prima di decidere la direzione dei 19 miliardi di euro che oggi vengono destinati ad attività che danneggiano l’equilibrio ambientale.
Se solo a una parte di queste considerazioni venisse data risposta, il quadro delle convenienze cambierebbe completamente. “Bisogna passare da un approccio di antagonisti a un ruolo da protagonisti del panorama generale”, ha sintetizzato Paolo Carnemolla, segretario generale di FederBio.
Se il bio italiano gioca a tutto campo è destinato a espandersi – è stato osservato al forum – anche in settori in cui in Paesi come la Germania e la Gran Bretagna, è già più forte: vino, birra, caffè, latticini, salumi e snack. La scommessa sarà occupare nuovi mercati senza tradire il mandato originario.