Sono 41 i fitofarmaci banditi in Europa che continuano a esser esportati soprattutto nei Paesi più poveri. E l’Italia è al secondo posto in questa classifica
di Maria Pia Terrosi
Solo nel 2018 dai Paesi europei sono partite più di 81.000 tonnellate di pesticidi tossici. Prodotti banditi nella Ue – in alcuni casi da molti anni – per i loro rischi potenziali per la salute umana e per l’ambiente, ma evidentemente buoni per essere utilizzati altrove. Questo quanto emerge da un’inchiesta condotta da Greenpeace Uk, Unearthed e dalla svizzera Public Eye che hanno analizzato le notifiche di esportazione che le aziende sono tenute a produrre negli scambi commerciali.
Quarantuno prodotti fitosanitari che sono stati destinati complessivamente a 85 Paesi, anche se in prevalenza sono finiti in quelli a medio e basso reddito. Paesi non in grado di utilizzare alternative più avanzate e meno economiche e dove peraltro l’impiego di pesticidi comporta rischi maggiori a causa di carenze normative e minori controlli.
In testa in termini di quantità esportate il Regno Unito (32.187 tonnellate), seguito dall’Italia con 9.500 tonnellate pari al 12% delle esportazioni notificate. Per quanto riguarda l’Italia nell’elenco figurano 10 prodotti fitosanitari destinati tra gli altri a Usa, Australia, Canada, Marocco, Sud Africa, India, Giappone, Messico, Iran e Vietnam.
Complessivamente mettendo insieme Regno Unito, Italia, Paesi Bassi, Germania, Francia, Belgio e Spagna si arriva a più del 90% dei volumi esportati. Tra i primi 10 importatori figurano gli Usa, il Brasile, l’Ucraina, il Marocco, il Messico e il Sudafrica.
Guardando ai prodotti esportati, il più scambiato è il paraquat, erbicida utilizzato nelle monoculture di mais, soia e cotone. Proibito dal lontano 2007 in Europa, continua a essere esportato soprattutto in sud America, Asia e Africa. A seguire il dichloropropene vietato nellla Ue ma tranquillamente esportato principalmente in Marocco, e il cianammide che finisce in Perù, Cile e Sudafrica.
Per quanto riguarda l’Italia, la prima sostanza esportata in termini di volumi à stato il trifluralin. Riconosciuto cancerogeno, è stato vietato nella Ue nel 2007 anche a causa della sua elevata tossicità per i pesci e altri organismi acquatici, nonché per la sua elevata persistenza nel suolo. Il secondo posto (con 1.820 tonnellate) spetta a un altro sospetto cancerogeno per gli esseri umani: l’erbicida l’ethalfluralin, diretto principalmente in Canada e Stati Uniti.
L’esportazione di pesticidi tossici è una pratica che le Nazioni Unite hanno definito “deplorevole”, resa possibile dalla presenza di normative più deboli nei Paesi di destinazione. Ma anche evidentemente da lacune nella stessa legislazione europea che consentono alle aziende chimiche di continuare a produrre in Europa pesticidi il cui impiego è vietato nel territorio europeo.
Un comportamento basato su un “doppio standard” etico, ma anche miope. Prima di tutto perché i danni all’ambiente, agli equilibri naturali, alla biodiversità non si fermano certo sulle linee di confine. In secondo luogo perché se è vero che gli Usa, il Brasile e l’Ucraina sono tra i principali importatori di pesticidi tossici, va ricordato che sono anche quelli che poi esportano grandi quantità di derrate alimentari verso l’Europa. E così il cerchio si chiude.