Pesticidi nelle acque: un campione su 5 fuori legge

Reso noto, alla vigilia di Natale, il rapporto Ispra. Si trovano tracce di pesticidi in più di un campione su tre di acque superficiali. Il glifosato impera

di Simonetta Lombardo

È stato un parto travagliato, che ha preso almeno sei mesi più del dovuto. E il momento scelto per rompere gli indugi e comunicare i dati raccolti (il pomeriggio del 23 dicembre) non sembra particolarmente favorevole per avere il giusto rilievo nel dibattito mediatico e politico.  Tuttavia la qualità e l’autorevolezza del rapporto Ispra (Rapporto nazionale pesticidi nelle acque. Dati 2017 – 2018) parlano da sole e forniscono una fotografia scientificamente inoppugnabile del rischio pesticidi in Italia.

I dati erano stati in gran parte anticipati da noi la scorsa estate, e l’articolo comparso su queste pagine aveva anche avuto la sua eco su quotidiani e siti di news.

La pubblicazione del Rapporto Ispra conferma e amplia quello che avevamo scritto. La contaminazione da pesticidi delle acque è diffusa, mette a rischio la salute ambientale e umana, e per uno dei problemi maggiori, quello del cocktail di sostanze chimiche di sintesi, non ci sono studi approfonditi né tantomeno limiti di legge. Sono stati trovati pesticidi nel 77,3% dei 1.980 punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 32,2% dei 2.795 punti di monitoraggio delle acque sotterranee. Sono state cercate complessivamente 426 sostanze e ne sono state trovate 299. Gli insetticidi sono la classe di sostanze più rinvenute, a differenza del passato, quando erano gli erbicidi.

Ancora, sempre dal rapporto: “Nelle acque superficiali, 415 punti di monitoraggio (21% del totale) hanno concentrazioni superiori ai limiti ambientali. Le sostanze che più spesso hanno determinato il superamento sono gli erbicidi glifosate e il suo metabolita AMPA, il metolaclor e i fungicidi dimetomorf e azossistrobina; nelle acque sotterranee, 146 punti (il 5,2% del totale) hanno concentrazioni superiori ai limiti. Le sostanze più rinvenute sopra il limite sono: gli erbicidi glifosate e AMPA, il bentazone e i metaboliti atrazina desetil desisopropil e i fungicidi triadimenol, oxadixil e metalaxil”.

In sintesi: si trovano tracce di pesticidi in più di un campione su tre di acque superficiali. Il glifosato impera. In un più di punto di monitoraggio su 5 i valori sono oltre i limiti di legge.

Questa è la situazione a livello nazionale. Quando si va nel dettaglio regionale può sorgere qualche dubbio sulla “classifica” delle regioni più contaminate. Quelle del Nord risultano più inquinate ma hanno mediamente anche una maggiore capillarità dei controlli. È possibile che verifiche più accurate facciano emergere dati negativi anche in altre aree. Ma le ipotesi restano due. O questa fotografia preoccupante della situazione corrisponde alla realtà. Oppure la realtà – a causa di qualche locale carenza nei controlli – è ancora peggiore.

Per prudenza restiamo nell’ambito dei dati ufficiali per capire come superare il problema. Un primo allarme scatta di fronte alla contraddizione tra l’andamento dell’impiego dei pesticidi e quello dell’inquinamento.

L’andamento dei pesticidi segna un regresso nell’uso: “In Italia, in agricoltura si utilizzano circa 114.000 tonnellate all’anno di prodotti fitosanitari (ISTAT, 2019), che contengono circa 400 sostanze diverse. Per i biocidi non si hanno informazioni analoghe sulle quantità e manca un’adeguata conoscenza degli scenari d’uso e della loro distribuzione geografica. Da qui la difficoltà di pianificare un monitoraggio che interessa gran parte del territorio nazionale, controlla un grande numero di sostanze e richiede un continuo aggiornamento reso necessario dall’uso di sostanze nuove”.

L’andamento dell’inquinamento delle acque cresce: “Dal 2009 al 2018 la percentuale di punti con presenza di pesticidi è aumentata di circa il 25%, in quelle sotterranee di circa il 15%”. Una contraddizione che Ispra spiega con la maggiore copertura ed efficacia dei monitoraggi. Ma rivela anche due problemi rilevanti. Uno, sottolineato nel Rapporto, è la mancanza di sufficienti informazioni sull’uso di biocidi, cioè di sostanze di chimica di sintesi applicate in campi non agricoli. L’altro è la preoccupante persistenza di queste sostanze nelle acque, che genera un effetto accumulo.

C’è poi il secondo campanello di allarme. Che scatta quando si tocca un buco del nostro sistema legislativo: la mancanza di un tetto sul mix di contaminanti: “I dati del biennio evidenziano più che in passato, la presenza di miscele nelle acque. Con un numero medio di 4 sostanze e un massimo di 56 sostanze in un singolo campione. Si deve quindi tenere conto che gli uomini, come altri organismi, sono spesso esposti a miscele di sostanze chimiche di cui non si conosce la composizione e, quindi, non si può valutarne il rischio”.

“Nonostante il Rapporto ISPRA registri un leggero calo nell’uso dei pesticidi in agricoltura, la presenza di residui nelle acque è in continuo aumento e non è dovuto solo ai monitoraggi più accurati ma è il risultato dell’effetto accumulo, come indica lo stesso Istituto”, ha commentato la presidente di FederBio, Maria Grazia Mammuccini. “Per questo, se vogliamo garantire la tutela di un bene comune come l’acqua, occorre adottare con urgenza gli obiettivi delle strategie Farm to Fork e Biodiversità con l’obiettivo di ridurre rapidamente l’uso dei pesticidi del 50% e triplicare le superfici coltivate a biologico. Sono queste sono le priorità a cui deve guardare il Piano strategico Nazionale della nuova PAC e la revisione del PAN di cui si sono perse le tracce da oltre un anno”.

“La cosa che desta grandi preoccupazioni è anche il mix di contaminanti rilevati. Se nel 2008 in un solo campione si erano trovate fino a un massimo di 15 diverse sostanze – conclude Mammuccini – nell’ultimo rapporto il dato sale a 56 sostanze in un singolo campione. Sappiamo bene che la questione del multiresiduo non è stata finora indagata adeguatamente; per questo sarebbe necessario adottare il principio di precauzione e investire in studi e ricerche indipendenti per valutare gli effetti del multiresiduo sulla salute dei cittadini e sull’ambiente”.

Il quadro è chiaro. Manca un’adeguata risposta ai problemi. Ma l’Unione europea ha già indicato la strada con le strategie Farm to Fork e Biodiversità: meno pesticidi, spazio al biologico.