La legislazione UE per la protezione degli animali da allevamento, prevedendo solo norme minime, rischia di far diventare l’industria europea una copia del modello americano. Annamaria Pisapia, di Ciwf Italia Onlus: “In Italia almeno il 90% degli allevamenti è di tipo intensivo”
di Jandira Moreno
Poche settimane fa lo spettro degli allevamenti intensivi di bovini sul modello americano si è affacciato sulla Gran Bretagna. Secondo il Bureau of investigative Journalism e il Guardian, che per ora ne hanno trovati una dozzina, esistono allevamenti su scala industriale in grado di ospitare fino a 6 mila capi di bestiame in condizioni inaccettabili per l’opinione pubblica inglese. Ma mentre per l’allevamento di suini e di polli gli allevatori hanno bisogno di ottenere il permesso della Defra (il Dipartimento per l’Ambiente, il Cibo e gli Affari rurali) per i bovini la questione non è regolamentata e quindi c’è un’allarmante penuria di dati. Il rischio è che queste aziende finiscano per fagocitare i piccoli allevatori ponendo il benessere degli animali tra le ultime priorità e abbassando di conseguenza la qualità della carne che si consuma. A oggi nel mondo vengono allevati 70 miliardi di animali per l’industria della carne l’anno, 50 miliardi dei quali sono polli.
Il quadro italiano invece è soddisfacente?
“Assolutamente no. In Italia gli allevamenti intensivi sono oltre il 90%”, risponde Annamaria Pisapia, direttrice di Ciwf (Compassion in world farming) Italia Onlus -costola italiana del Ciwf fondato nel 1967 da un allevatore inglese di vacche da latte preoccupato per l’intensivizzazione dei metodi di allevamento. “E come Paese alleviamo mezzo miliardo di polli da carne l’anno che durante la breve vita che gli è concessa (parliamo di poco più di 40 giorni ndr) sono allevati in capannoni che ospitano dai 33 ai 39 chili di animali per metro quadrato, il che è purtroppo permesso dalla direttiva 2007/43/CE che stabilisce norme minime per la protezione dei polli allevati per la produzione di carne. La sostenibilità ambientale di questi allevamenti, poi, non viene neanche presa in considerazione ed è un gravissimo errore sottovalutare questo aspetto”.
Quali sono i parametri perché un allevamento venga considerato idoneo a ospitare animali allevati a scopo alimentare?
“La direttiva Ue 98/58 definisce le norme minime riguardo alla protezione degli animali negli allevamenti e quindi prevede regole a cui ogni allevamento deve attenersi. Ma si tratta appunto di norme minime, peraltro, anche troppo spesso disattese. Ci vorrebbe una normativa più stringente, ma nella UE a 28 è difficile mettere d’accordo gli Stati membri, nonostante tutte le campagne che noi e altre associazioni come la nostra facciamo. Questo vale anche per le legislazioni specie specifiche, di cui alcune specie hanno disperatamente bisogno. Penso, ad esempio, a vacche e conigli che ne sono sprovvisti”.
L’opinione pubblica ha peso nel processo di adozione di pratiche più rispettose del benessere e della tutela degli animali negli allevamenti?
“Certo, e molto anche. Basti pensare alle uova che oggi troviamo al supermercato. Sia sulle confezioni che sulle uova stesse sono riportate, rispettivamente, delle diciture e dei numeri che indicano in quale sistema è allevata la galline che ha deposto quell’uovo, dando al consumatore le informazioni necessarie per fare una scelta consapevole. Questa possibilità ha portato a una rivoluzione nelle pratiche di allevamento delle galline ovaiole e, infatti nei supermercati si trovano sempre più uova biologiche, da galline allevate a terra o all’aperto e non in gabbia”.
E’ vero che l’industria dell’allevamento, per come si presenta oggi, non si può farla fallire per il principio “too big to fail”?
“No, è un falso mito. In questo momento storico sono molte le aziende che decidono di optare per modelli non intensivi e Ciwf li aiuta nel processo di cambiamento .Inoltre la domanda del consumatore è fondamentale e un consumatore informato, interessato ai prodotti più rispettosi del benessere animale può fare muovere i grandi giganti dell’agri business – come abbiamo potuto vedere in numerose occasioni”.