Una ricerca pubblicata su Nature dimostra che abitare fuori dalle città non fa bene alla linea. Il 55% dell’aumento delle persone sovrappeso e obese (con punte dell’80% in zone a reddito basso) è avvenuto nelle aree rurali.
di Carlo Luciano
“La terra è bassa”. E’ una sentenza antica che racconta millenni di sudore e fatica. E paradossalmente spesso di denutrizione: per secoli tante campagne, luoghi di produzione del cibo, sono state troppo povere per rispondere alla più elementare delle esigenze: dare a chi le abita un’alimentazione adeguata. Oggi per fortuna in molti Paesi, tra cui quelli europei, l’estrema povertà collegata alla denutrizione è uscita di scena. Ma dal punto di vista sanitario il rischio non è stato cancellato: si è ribaltato.
Non è un problema di scarsità ma di qualità
Oggi la sicurezza delle nostre vite è minacciata più dall’abbondanza di cibo (di scarsa qualità) che dalla carenza di alimenti (di buona qualità). Il nuovo problema è l’obesità, con il suo carico di malattie cardiovascolari, diabete, ipertensione, sindrome metabolica. E, ancora una volta, a pagare il conto più alto è chi abita in campagna. Lo testimonia un’analisi pubblicata su Nature e basata su oltre 2 mila ricerche condotte tra il 1985 e il 2017 analizzando il quadro sanitario di 112 milioni di persone. La conclusione dello studio è che, contrariamente a quanto avveniva fino agli anni Ottanta, abitare in campagna non fa bene alla linea. Il 55% dell’aumento delle persone sovrappeso e obese (con punte dell’80% in zone a reddito basso) è avvenuto nelle aree rurali. Una differenza, quella tra città e campagna dal punto di vista delle abitudini alimentari, particolarmente evidente tra la popolazione femminile.
Obesità e agricoltura intensiva
Un problema che si somma a quello della persistente malnutrizione da carenza di cibo nei Paesi più poveri e che getta un’ombra sul modello attuale di transizione alimentare. Lo schema oggi dominante è rispondere all’aumento di popolazione atteso (circa 3 miliardi di esseri umani entro la seconda metà del secolo) con un’accelerazione del percorso di industrializzazione che ha caratterizzato l’agricoltura nel ventesimo secolo. Più irrigazione, più chimica di sintesi, più monocolture.
Ma il secolo che si è concluso ha avuto un bilancio preoccupante in termini di terre inaridite, sovra consumo di acqua, inquinamento delle falde idriche, accumulo negli ecosistemi di sostanze ad alto impatto ambientale. Per questo la Fao con un convegno organizzato nella primavera del 2018 ha dichiarato esaurita la fase dello sviluppo agricolo intensivo e con consistente impiego di chimica di sintesi invitando a puntare sull’agro ecologia.
Obesità, i numeri possono ancora crescere
“C’è un’urgente necessità di un approccio integrato alla nutrizione rurale che migliori l’accesso finanziario e fisico ai cibi sani, per evitare di sostituire lo svantaggio della denutrizione rurale nei Paesi poveri con uno svantaggio di malnutrizione più generale che comporta un consumo eccessivo di calorie di bassa qualità”, scrive Nature.
Nell’ultimo trentennio l’obesità ha guadagnato terreno e secondo l’Oms minaccia di crescere ancora sensibilmente nel ventunesimo secolo. E la battaglia non si gioca sulla quantità di cibo (oggi buttiamo via un terzo degli alimenti prodotti a livello globale) ma sugli stili di vita. Quelli che stanno emergendo nelle aree urbane – più attenti alla qualità dei prodotti, all’attività fisica, a una migliore informazione – sembrano la risposta più adatta ai nuovi problemi che emergono.
Qui il link all’articolo di Nature