Avaaz non dovrà consegnare a Monsanto alcun dato dei propri sottoscrittori e donatori: lo ha deciso il 6 settembre scorso la Corte Suprema di New York annullando l’ordine di esibizione che la multinazionale aveva consegnato alla Ong richiedendo qualunque documento legato alle campagne contro l’utilizzo dell’erbicida.
di Maria Pia Terrosi
“Il giudice ha detto alla Monsanto che ciò che stavano portando avanti era anti democratico e un tentativo di soffocare le voci dei nostri membri e dei cittadini impegnati nella battaglia. La Monsanto potrebbe fare ricorso, ma sarebbero matti ad affrontare di nuovo questa incredibile comunità di composta da quasi 50 milioni di persone”, ha commentato la vicedirettrice di Avaaz Emma Ruby-Sachs.
Tutto è iniziato alcuni mesi fa quando Monsanto – multinazionale da 50 miliardi di dollari produttrice del Round Up, erbicida a base di glifosato – aveva inviato un ordine di esibizione composto da 168 pagine ad Avaaz ( Ong attiva su temi come il cambiamento climatico, i diritti umani, i diritti degli animali, la povertà) chiedendo la consegna di ogni email, nota o documento in suo possesso in cui veniva menzionata la Monsanto o il glifosato, compresi i nomi e gli indirizzi e-mail di tutti coloro che hanno firmato le petizioni o aderito alle campagne. Una quantità gigantesca di dati considerando che le campagne promosse da Avaaz contro il glifosato hanno raccolto circa 2 milioni di adesioni.
Monsanto sosteneva che tutti questi dati – contenuti in un decennio di corrispondenze interne – fossero necessari per preparare la propria difesa nella causa a loro intentata da Ronald Peterson e Jeff Hall, ammalati di linfoma non Hodgkin.
Ma la citazione sembra essere stata mossa da altre finalità. Al riguardo Emma Ruby-Sachs ha dichiarato che la richiesta di Monsanto, se fosse stata accolta, avrebbe avuto un “effetto congelante” sull’attivismo e sulla capacità di mobilitazione della Ong che sarebbero state messe a dura prova dalla totale mancanza di privacy dei dati forniti da sostenitori e firmatari delle petizioni.
Secondo gli avvocati di Avaaz, inoltre, questa richiesta poteva essere considerata una violazione del Primo Emendamento della Costituzione e della legge di New York’sReporter’sShield.
Peraltro proprio in queste settimane Monsanto ha subito un’altra sconfitta in tribunale: in California è stata condannata a pagare 250 milioni di dollari di risarcimento, più 39 milioni di danni e altre spese, a Dewayne Jonhnson, un giardiniere di 46 anni malato dal 2014 di linfoma non-Hodgkin, un tumore del sistema linfatico. La giuria ha concluso che la patologia di Johnson è stata causata almeno in parte dall’uso che l’uomo faceva nel suo lavoro del glifosato: la Monsanto – ha affermato il tribunale – è stata condannata in quanto ha nascosto “con malizia” gli effetti cancerogeni dei suoi prodotti, che hanno “sostanzialmente”contribuito alla malattia di Johnson. E il caso di Johnson non è certo il solo: negli ultimi mesi sono raddoppiate, arrivando a 8 mila, le citazioni depositate nei tribunali Usa riguardanti Monsanto e l’uso del glifosato.