Lotta per la terra: tribù amazzoniche contro Temer

Dopo la legalizzazione di duemila insediamenti privati abusivi, voluta dal presidente del Brasile, i Ka’apor e i Munduruku pattugliano la foresta e fermano i contrabbandieri con ogni mezzo possibile. Hanno bandito alcol e droghe dalle loro comunità, costruito sette villaggi dove era sparita la foresta e istituito in quei luoghi un’area protetta

di Jandira Moreno


Land grabbing: i Ka’apor e i Mundukuru si sono ribellati e dal 2013 stanno portando avanti una vera e propria guerriglia contro i ladri di terre e i distruttori di foreste. Queste due tribù indigene, che vivono tra gli stati di Parà e Mato Groso fino a Terra Indigena Alto Turiaçu –due milioni di ettari di foresta amazzonica situata a nord-ovest dl Maranhão e gestita dall’Istituto Chico Mendes per la conservazione della biodiversità– hanno deciso di mettere fine allo strapotere statale, al disboscamento incensante della terra che considerano sacra e alle morti inspiegate di indios che si erano opposti all’avanzata dei camion carichi di legno di contrabbando.  Una guerrilla che serve anche a scongiurare un’ulteriore pressione sull’ecosistema della foresta amazzonica. Secondo i calcoli dell’Istituto di ricerca ambientale dell’Amazzonia, basati sui dati diffusi dal governo federale brasiliano, la foresta amazzonica sta scomparendo a ritmi vertiginosi: tra agosto 2015 e luglio 2016 ha perso 7.989 chilometri quadrati di territorio coperto da vegetazione.

Intanto la domanda per i terreni vola: gli investitori cercano luoghi in cui coltivare cibo per l’esportazione e per i biodiesel e così in 18 anni sono stati sottratti alla foresta 88 milioni di ettari nel mondo, secondo il dossier della FOCSIV sulle espropriazioni nelle comunità rurali. Una pratica che genera nuove povertà, iniquità e calpesta i diritti di comunità indifese.

E che viene sostenuta da Michel Temer, arrivato alla presidenza del Brasile in maniera molto contestata. Con l’introduzione di una misura provvisoria anti costituzionale ma appoggiata dal congresso nazionale, a luglio del 2017 Temer ha reso regolari duemila insediamenti privati abusivi in terre di dominio pubblico nel Maranhão,  una di quelle regioni in cui gli speculatori sono più attivi perché vi risiedono molte famiglie di proprietari terrieri.

Il rischio che comporta questa misura provvisoria è che dopo i duemila insediamenti possano essere legalizzati anche i terreni requisiti agli indigeni per fare spazio agli allevamenti e alle colture intensive di mais e soia, attività diffusissime in tutto il territorio brasiliano. Ma secondo gli accordi internazionali che il Brasile ha firmato, gli unici a poter decidere della destinazione delle terre pubbliche nelle zone indigene sono proprio gli indigeni. E i Ka’apor e i Munduruku hanno deciso di esercitare questo diritto.

Per questo, a gruppi, pattugliano la foresta e fermano i contrabbandieri con ogni mezzo possibile: chiudendo le strade aperte illegalmente, sabotando i camion e, se messi alle strette, anche legando mani e piedi di chi li guida.  Con un trattato redatto in proprio, e non dalla Funai (Fondazione Nazionale degli Indios), hanno bandito alcol e droghe dalle loro comunità, costruito sette villaggi dove era sparita la foresta e istituito in quei luoghi un’area protetta.

Ma i contrabbandieri sono solo gli esecutori di una politica che viene dall’alto: mentre il governo federale, nel migliore dei casi, si gira dall’altra parte, i politici locali e le bande criminali organizzate si insinuano nella foresta per ricavarne legno da esportare (in Cina e in Europa soprattutto) e magari anche sperando di imbattersi in qualche giacimento d’oro da sfruttare.  E subito dopo di loro arrivano i grandi agricoltori e allevatori, la piaga più grande per le popolazioni indigene perché sottraggono terreno fertile e adatto alla sopravvivenza degli autoctoni per farne coltivazioni intensive e allevamenti estesissimi.

Un fenomeno, questo del land grabbing, presente soprattutto in Sudamerica, in Africa e in Asia, cresciuto del 1000% negli ultimi 10 anni e che ha come conseguenza lasciare intere popolazioni senza cibo costringendole alla diaspora. Per ora la Banca Mondiale, nonostante la pressione di alcune Ong in difesa dei diritti umani, non ha smesso di finanziare le compravendite di terra nel mondo. Ma i Ka’apor e i Munduruku vanno avanti nella loro lotta, forti della nuova alleanza tra tribù che, fino a poco tempo fa, non comunicavano tra loro.

 

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