L’insostenibile pesantezza della produzione alimentare

Su 7,7 miliardi di persone solo 3,4 sono alimentate rispettando l’ambiente. Una ricerca del Potsdam Institute for Climate Impact Research suggerisce come riuscire a nutrire il pianeta senza distruggerlo

di Maria Pia Terrosi


Metà della produzione alimentare mondiale è insostenibile dal punto di vista ambientale, ovvero avviene mettendo a serio rischio il futuro del pianeta. Le prove sono sotto gli occhi di tutti: stress idrico, perdita di biodiversità, ecosistemi degradati.  Ma se questa è la cattiva notizia, quella buona è che si può fare qualcosa, anzi molto. A patto di ripensare completamente il sistema con cui produciamo cibo e i suoi modelli di consumo.

A questa conclusione sono arrivati i ricercatori del Potsdam Institute for Climate Impact Research (Pik) che hanno calcolato che oggi solo 3,4 miliardi di persone su una popolazione mondiale di 7,7 miliardi sono alimentati rispettando la sostenibilità ambientale e preservando le risorse del pianeta.

Secondo lo studio  “Feeding ten billion people is possible within four terrestrial planetary boundaries” pubblicato su Nature Sustainability, il 48,6%  del cibo viene prodotto superando ben 4 dei 9 Planet Bounderies, limiti invalicabili per la salvaguardia del pianeta introdotti  dal geofisico Johan Rockström.  Nello specifico i limiti oltrepassati direttamente coinvolti nella produzione del cibo riguardano la difesa della biodiversità, l’uso sostenibile di acqua dolce, l’impiego di fertilizzanti in agricoltura e il disboscamento di area forestali.

In pratica utilizziamo troppa terra per colture e bestiame, concimiamo troppo e irrighiamo troppo. Un problema aggravato dal fatto che la popolazione mondiale è in crescita e raggiungerà 10 miliardi di persone al 2050.

Ma le vie d’uscita ci sono. Secondo i ricercatori rivedendo completamente il sistema di produzione e i modelli di consumo del cibo si può riuscire a dare cibo sufficiente e sano all’intera popolazione mondiale al 2050 senza compromettere il pianeta e nel rispetto dei limiti planetari.

Lo stesso Rockström, direttore del Pik, precisa: “Oggi l’agricoltura in molte regioni del mondo utilizza troppa acqua, terra o fertilizzante. La produzione in queste regioni deve quindi essere allineata alla sostenibilità ambientale. Tuttavia, ci sono enormi opportunità per aumentare in modo sostenibile la produzione agricola in queste e altre regioni. Questo vale per gran parte dell’Africa sub-sahariana, ad esempio, dove una gestione più efficiente dell’acqua e dei nutrienti potrebbe migliorare notevolmente i raccolti “.

E’ evidente che la soluzione non è una sola. Occorre adottare un pacchetto di soluzioni che insieme equivalgono a una riprogettazione radicale del sistema alimentare. Tre i punti chiave: ridistribuzione delle terre coltivate, migliore gestione delle risorse idriche e nutritive, riduzione degli sprechi alimentari e cambiamenti dietetici.

Dalle simulazioni fatte dai ricercatori emerge che la perdita globale del 49% della produzione alimentare legata al rispetto dei vincoli dei Planet Bounderies può essere recuperata passando a sistemi di produzione alimentare più sostenibili che possono far aumentare la produzione di cibo del 53% rispetto al livello attuale.

Pochi ma sostanziali i cambiamenti: rinaturalizzazione degli allevamenti nelle aree in cui più del 5% delle specie è a rischio estinzione; riforestazione dei terreni coltivati dove più dell’85% della foresta è stato disboscato; riduzione dell’uso dell’azoto nei fertilizzanti.

Essenziale è la ridistribuzione: occorre spostare parte delle attività agricole e di allevamento da zone sottoposte a “stress ambientale” elevato – prevalentemente Cina orientale ed Europa centrale – verso altre in cui i limiti ambientali sono distanti dall’essere superati, come il Nord-Ovest degli Stati Uniti e soprattutto l’Africa sub-Sahariana.

Inoltre, anche i consumatori dovranno fare la loro parte, modificando la loro dieta: meno carne e più proteine vegetali e verdura. Così come è fondamentale riuscire a ridurre gli sprechi alimentari, arrivati a rappresentare il 30% del cibo complessivamente prodotto.