Esiste una forte correlazione tra la diffusione della pandemia e modelli economici del territorio. Lo dimostrano le conclusioni di uno studio Bce-Unifi sui contagi in Italia
di Maria Pia Terrosi
Il coronavirus non corre lungo i confini regionali, ma segue i modelli di sviluppo economico e territoriale. A questa conclusione è arrivato un recente studio ‘Covid-19 and rural landscape: the case of Italy‘ condotto dall’Università di Firenze e dalla Banca centrale europea (Bce) e pubblicato su Landscape and Urban Planning e sulla Working Paper Series della Bce.
“L’analisi ha messo a confronto la statistica della distribuzione del virus in relazione alla densità demografica con quella della distribuzione del virus in relazione al modello territoriale. Il dato statistico interessante emerso è che c’è maggiore correlazione tra diffusione dei contagi e modello territoriale di sviluppo che tra diffusione dei contagi e intensità demografica”, ci spiega Mauro Agnoletti, uno degli autori dello studio.
Obiettivo della ricerca analizzare l’andamento del contagio da coronavirus in Italia mettendolo in relazione con le caratteristiche ambientali, industriali e rurali del territorio.
Ne è emerso che il virus si diffonde maggiormente nei territori dove sono più elevati gli input energetici dovuti ad esempio ad attività industriali e agroindustriali. In queste zone si registrano infatti 37 casi di contagi ogni 100.000 abitanti rispetto ai 28 ogni 100.000 abitanti delle aree meno industrializzate e con modelli agricoli meno intensivi.
In testa Pianura Padana, parte dell’Emilia Romagna, la valle dell’Arno tra Firenze e Pisa, le zone intorno a Roma e Napoli.
Emblematico, in particolare, il caso delle province della pianura padana.
Si tratta di 36 province: da Torino e Alessandria passando per Pavia, Novara, Milano, Monza e della Brianza, Bergamo, Brescia, Parma, Bologna fino ad arrivare a Venezia, Rovigo e Treviso. Qui, oltre alle zone urbane e industriali, si concentra il 61% delle aree ad agricoltura intensiva del territorio nazionale. In queste zone si conta una media di 372 casi ogni 100 km quadrati nelle aree intensive che scendono a 223 in quelle meno intensive. Questo perché le aree ad alta intensità sono anche quelle più soggette a inquinamento causato da nitrato, metano ed emissioni di ossido nitroso, che incide sulla qualità ambientale.
“È il momento di rivedere il nostro modello di sviluppo che vede concentrate aree urbane, infrastrutture, industria e agricoltura intensiva nel 23% del paese. Occorre invece fare progetti per ripopolare e dotare di servizi adeguati anche le aree meno sviluppate che sono il 77% del territorio. È chiaro che in queste zone vanno proposti modelli di agricoltura non intensiva basata su produzioni di qualità e non sulla quantità e che assicurino la valorizzazione del territorio e il rispetto dell’ambiente”, conclude Agnoletti.