La lezione del bio sul benessere animale

La Commissione europea rilancia le pratiche tipiche degli allevamenti biologici. L’alternativa la stiamo sperimentando con la pandemia

di Maria Pia Terrosi

Ripensare la modalità con cui alleviamo gli animali è necessario non solo per il benessere degli animali. Lo è anche per tutelare la nostra salute e per ridurre gli impatti sull’ambiente. Una convinzione condivisa dalla Commissione europea che nel report “List of potential Agricoltural Practices that Eco-Schemes could support” cita il benessere animale come una delle pratiche che – assieme ad agroecologia e agroforestazione – potrebbe ricevere finanziamenti dall’Europa nella prossima Pac per raggiungere gli obiettivi del Green Deal europeo. 

Sono diversi i parametri necessari ad assicurare l’effettivo benessere degli animali negli allevamenti. Tra questi la Commissione richiama pratiche già seguite nell’agricoltura biologica. Tra cui: 

  • valutare la densità dell’allevamento, ovvero assicurare a ogni animale uno spazio idoneo a disposizione; 
  • dare agli animali la possibilità di accedere regolarmente a cibo e acqua, alle aree di pascolo e alle aree all’aperto; 
  • adottare le pratiche utili per aumentare la robustezza, la fertilità, la longevità e l’adattabilità degli animali; 
  •  promuovere la diversità genetica e la resilienza.

Garantire il benessere degli animali non è solo una questione di etica

Le condizioni in cui un animale viene allevato incidono direttamente sulla sua salute: se sono sbagliate aumenta il rischio di malattie e infezioni. Una gallina allevata in gabbia ha a disposizione uno spazio di circa 750 centimetri quadrati, poco più di un foglio di carta. In un sistema di allevamento a pascolo-zero le vacche non calpestano mai un filo d’erba. In cambio di queste privazioni gli animali si trasformano in macchine: se una mucca di norma produce circa 4 litri di latte al giorno, una in allevamento intensivo può arrivare a 60 litri. Zoppie e mastiti sono spesso inevitabili conseguenze.  E l’overdose di farmaci una conseguenza delle conseguenze.

Proprio per sostenere questi ritmi di produzione e compensare le scarse condizioni di benessere degli animali – tra cui il sovraffolamento che favorisce lo sviluppo di batteri – si ricorre infatti all’impiego inappropriato di farmaci e antibiotici

Se al riguardo l’obiettivo indicato dall’Europa è di dimezzare da qui al 2030 la quantità di antimicrobici utilizzati negli allevamenti, al momento in Italia la situazione è tutt’altro che tranquillizzante: il 70% degli antibiotici utilizzati complessivamente è impiegato nel settore veterinario. 

L’uso di antimicrobici come profilassi su animali sani – che sarà vietato in Europa a partire dal 2022 – o per forzare i ritmi “produttivi” degli animali può inoltre favorire fenomeni di antibiotico resistenza pericolosi. Per gli animali. Ma anche per l’uomo visto che gli antibiotici usati in veterinaria sono gli stessi utilizzati per la specie umana. 

Eppure la pandemia di Covid-19 con cui stiamo tuttora combattendo, dovrebbe averci insegnato quanto il destino degli animali sia strettamente intrecciato con quello dell’uomo. Lo ha ricordato Jane Goodall, antropologa ed etologa intervenuta ad un webinar organizzato dall’United Nations Environment Programme (Unep), Chatham House and Compassion in World: “Le condizioni disumane di affollamento degli animali non solo causano intense sofferenze a questi esseri senzienti ma permettono il trasferimento di agenti patogeni dall’animale all’uomo rischiando nuove malattie zoonotiche”.