Nei primi 5 mesi del 2020 sono cresciuti in Italia sia i consumi di bio che il numero degli operatori (produttori, preparatori e importatori)
di Redazione
Un settore maturo e stabile, quello biologico, che ha retto il terremoto provocato dall’arrivo della pandemia. Sono cresciuti infatti in Italia i consumi di bio anche durante il lockdown (+11%), con una forte accelerazione nel periodo compreso fra il 9 marzo e Pasqua (+20%, trainato prevalentemente dal Nord Italia) a conferma di un appeal molto forte sul consumatore. Anche il numero di operatori – produttori, preparatori e importatori – nei primi cinque mesi del 2020 è aumentato, seppure manifestando una sostanziale stabilità su base tendenziale (+0,15%), probabilmente per le difficoltà legate al Covid-19.
È quanto emerso nel corso del webinar “Il bio in Italia nell’era Covid: superfici, operatori e aziende (e un focus sulla filiera olivicola)” organizzato lo scorso 24 giugno da B/Open – la nuova rassegna del Bio foods & Natural self-care in programma a Verona il 23 e 24 novembre 2020 – al quale ha preso parte tutto il settore, dal ministero delle Politiche agricole ad Assocertbio e alle associazioni di categoria. I primi cinque mesi del 2020 evidenziano dunque dati positivi per un settore in salute e con grandi opportunità, alle prese con il problema della burocrazia, con percorsi certificativi talvolta tortuosi e con la necessità di migliorare la redditività.
In attesa dell’approvazione a livello nazionale della nuova legge di settore – al centro delle politiche del Green Deal della Commissione Ue con le strategie “Farm to Fork” e “Biodiversità” – nel 2019 in Italia, secondo i dati presentati in anteprima dall’Osservatorio di Assocertbio, il numero di operatori certificati, che tiene in considerazione produttori, preparatori e importatori, mantiene un leggero trend di sviluppo (oscilla da +1,34% a +1,5%) arrivando a 80.105 unità, contro i 79.046 del 2018.
Leggera crescita nel 2020
“Sembra confermata una continua crescita, seppure più rallentata, un po’ come era avvenuto nel 2018”, ha esordito Riccardo Cozzo, presidente di Assocertbio, l’associazione che certifica attraverso i propri soci circa il 95% degli operatori del biologico. Su un terreno positivo il trend nei primi cinque mesi del 2020 (+117 unità, pari al +0,15%), “meno frizzante con ogni probabilità per l’effetto delle difficoltà nella trasmissione delle notifiche da parte dei Centri di assistenza agricola nella fase di confinamento. Considerando l’ulteriore ripresa delle attività a partire dal mese di giugno, si possono nutrire aspettative di una leggera crescita del numero di operatori certificati nel corso della seconda parte del 2020”, ha concluso Cozzo.
Per quanto riguarda le superfici bio, i primi 5 mesi del 2020 evidenziano una sostanziale tenuta della Sau (Superficie agricola utilizzata) con circa 10.000 ettari certificati in più (+0,57%), che potrebbero essere confermati anche nelle proiezioni di fine anno. Dall’indagine emerge anche l’identikit delle imprese agricole bio: il 45% ha una superficie inferiore ai 15 ettari, il 25% si estende tra 15 e 50 ettari e il 30% occupa una Sau superiore ai 50 ettari. Calabria, Sicilia e Puglia si confermano anche nei primi mesi del 2020 le regioni dove è presente il maggior numero di operatori biologici. Scendendo nel dettaglio delle caratteristiche degli operatori certificati, in questa prima parte del 2020 cresce il numero delle realtà specializzate, vale a dire di quelle che operano solo nel settore del biologico e non anche nel convenzionale, appartenenti sia al comparto della zootecnia che a quello vegetale.
Il bio nelle strategie comunitarie
Al centro delle politiche ministeriali, con risorse stanziate annualmente per le mense scolastiche (10 milioni) e per ricerca e sviluppo (5 milioni), il biologico “rientra nelle strategie comunitarie del Green Deal e trova l’Italia in una posizione di vantaggio, dal momento che rispetto a una media di superficie agricola bio che in Europa è intorno all’8%, l’Italia si colloca oltre il 15 per cento”, ha affermato Roberta Cafiero del Mipaaf.
Il settore ha grandi potenzialità e deve poter cogliere tutte “le opportunità della politica agricola, per sostenere le produzioni grazie ai Programmi di sviluppo rurale e favorire le produzioni bio nazionali”, ha raccomandato Vincenzo Vizioli, vicepresidente Aiab. “Dalla legge di riforma del settore, attualmente ferma al Senato, potrebbe arrivare un aiuto agli operatori biologici, che necessitano di un riconoscimento sul ruolo ambientale e sociale dell’agricoltura biologica e di maggiori certezze per pianificare il futuro dei distretti produttivi e dell’attività di ricerca e sviluppo”, ha aggiunto Roberto Zanoni, presidente di Assobio, che ha spinto per una “piattaforma comune per la tracciabilità validata dal Mipaaf”.
Iter burocratico troppo complesso
Luigi Tozzi, responsabile Ufficio qualità e sicurezza alimentare di Confagricoltura, ha posto l’accento sul tema della burocrazia eccessiva: “Serve un cambio di mentalità, perché non basta aumentare le superfici bio se poi manca il prodotto e se l’iter burocratico è troppo complesso, tanto che gli ettari in conversione diminuiscono. Inoltre, dobbiamo ottenere la reciprocità fra le regole di produzione e certificazione bio comunitarie ed extra Ue”. Accanto alla burocrazia resta da risolvere il nodo della redditività. Lo ha ricordato Andrea Bertoldi, vicepresidente di FederBio, che ha lanciato l’iniziativa per il giusto prezzo dei prodotti biologici: “Dobbiamo sostenere i giovani e le imprese agricole a fare redditività, altrimenti non si verificherà il ricambio generazionale che è necessario per il settore”.
Nel corso del webinar, Riccardo Meo di Ismea e Roberta Callieris del Mediterranean Agronomic Institute of Bari hanno presentato il focus sulla filiera olivicola biologica italiana, che vede l’Italia al secondo posto fra le superfici bio al mondo con 235.741 ettari (26,70% della superficie mondiale a olivo bio), alle spalle della Tunisia (254.411 ettari) e davanti a Spagna (195.114 ettari) e Turchia (81.586 ettari). “Con un valore al consumo di 7,1 milioni di euro – ha detto Meo – 40.099 tonnellate di olio bio, 44.903 operatori, 1.620 frantoi biologici, il settore ha grandi opportunità di crescita, sfruttando le politiche comunitarie, l’aggregazione in organizzazioni di produttori, la crescita delle vendite, che nella grande distribuzione è aumentata del 200% negli ultimi dieci anni. Il 68% dell’olio bio della Gdo si concentra nell’Italia settentrionale, ma durante il lockdown, fino al 17 maggio, il settore olivicolo bio è cresciuto del 15%, rispetto al 7% del non bio”. “Da questi numeri – ha osservato Roberta Callieris – emerge come molte olive non vengano valorizzate come dovrebbe essere, il potenziale di trasformazione potrebbe essere più elevato. Oggi quasi la metà dell’olio bio viene importato, soprattutto dalla Tunisia: andrebbe introdotto un sistema di certificazione semplificato, soprattutto per i piccoli produttori e per i frantoi a basso volume”.