In alcune aree in Italia la concentrazione di carbonio organico è sotto l’1%. A svantaggio di agricoltura e ambiente
Il 75% delle terre coltivate in Europa ha concentrazioni di carbonio organico inferiori al 2%. In Italia, in alcune aree della pianura emiliano-romagnola il valore scende al di sotto dell’1%, allo 0,8%. Un dato che rappresenta un duplice campanello d’allarme. Sia per la salute e qualità del suolo – e quindi per la produttività – sia per la sua capacità di contenimento delle emissioni di CO2 presenti in atmosfera, visto che il suolo è uno dei più importanti sequestratori di carbonio.
Il carbonio organico, infatti, è una componente della materia organica del suolo costituita essenzialmente da residui vegetali e animali; questi vengono interessati da processi di decomposizione, fermentazione e trasformazione operati dagli organismi viventi presenti nel suolo.
I danni dei concimi chimici
A partire dagli anni Sessanta in Europa – scrive l’Accademia nazionale di Agricoltura (Ana) che di recente sul tema ha organizzato un convegno- è iniziato un lento declino della qualità del suolo agricolo connesso alla diffusione della fertilizzazione artificiale del suolo. In pratica il sempre maggiore utilizzo di concimi chimici al posto di quelli organici. La conseguenza è stata un degrado della struttura del suolo evidenziata da un calo consistente del contenuto in carbonio organico e dalla facile dispersione dei principali elementi nutritivi per le piante.
Come invertire la rotta
Per invertire la rotta occorre passare a un sistema agroalimentare sano e rispettoso dell’ambiente. Quindi riduzione di pesticidi, fertilizzanti chimici e contenimento delle perdite dei nutrienti. Reintegrare la fertilità del suolo significa prima di tutto ricostituirne la struttura attraverso l’applicazione di buone pratiche agricole e l’apporto sistematico e razionale di materiali organici disponibili per l’attività dei microrganismi.
Essenziale dunque è ridurre l’uso di fertilizzanti chimici e gestire diversamente letami ed inquinanti. Secondo Ana occorre investire in tecnologie non inquinanti in grado di simulare l’antico sistema delle concimaie. Ad esempio utilizzare impianti di digestione anaerobica in grado di trattare liquami zootecnici, residui organici agroindustriali e frazioni organiche da raccolta differenziata di rifiuti urbani.
I vantaggi sono numerosi. Tra questi: recupero di energia rinnovabile come biogas e riduzione dell’inquinamento atmosferico da gas serra, di cui il metano è uno dei principali responsabili.