Un recente studio dell’Unicef documenta gli impatti dei pesticidi sulla salute dei bambini. La loro tossicità risulta amplificata rispetto agli adulti nell’impatto su reni, fegato, polmoni e bronchi. Ma i danni si esprimono già in fase pre-natale, con malformazioni del feto, prevalenza di aborti spontanei e parti prematuri. Si registrano anche più tumori al cervello e leucemie, oltre a ritardi nello sviluppo cognitivo
di Goffredo Galeazzi
I pesticidi sui bambini hanno un effetto fino a 10 volte più grave rispetto a quello che hanno sugli adulti. Un danno che può avvenire, soprattutto nelle comunità più fragili, per ingestione (sotto forma di residui negli alimenti), inalazione o contatto con la pelle. Ma suolo, aria e acqua non sono l’unico modo per contaminare i bambini: possono anche essere esposti durante la gestazione, attraverso il latte materno. L’Unicef – United Nations Children’s Fund – ha pubblicato, a gennaio 2018, un documento di discussione volto ad approfondire gli impatti dei pesticidi sulla salute dei bambini. Il lavoro è stato realizzato col contributo di Baskut Tuncak, United Nations Special Rapporteur on the implications for human rights of the environmentally sound management and disposal of hazardous substances and wastes.
I bambini sono particolarmente vulnerabili a causa della loro fisiologia, del comportamento e dell’esposizione prenatale: presentano “finestre di vulnerabilità” soprattutto nello sviluppo iniziale, quando l’esposizione tossica può provocare danni devastanti. Durante i primi 12 anni di vita, il tasso di respirazione di un bambino è doppio quello di un adulto: se esposti ai pesticidi spruzzati, inalano il doppio di un adulto. Anche se i bambini spesso mangiano e bevono di più rispetto al loro peso corporeo rispetto agli adulti, i loro organi, come fegato e reni, hanno una capacità inferiore di rimuovere pesticidi dal corpo, aumentando così il rischio di trattenere le tossine.
La tossicità dei pesticidi su organi vitali dei minori risulta così amplificata fino a 10 volte, sui reni, rispetto agli adulti. In proporzioni variabili su fegato, polmoni e bronchi. Ma i danni si esprimono già in fase pre-natale, con malformazioni del feto, prevalenza di aborti spontanei e parti prematuri. Si registrano anche perturbazioni al sistema endocrino dalla nascita ai 4 anni e maggiore frequenza di tumori al cervello e leucemie – oltre a ritardi nello sviluppo cognitivo – negli anni a seguire.
I bambini sono vulnerabili ai pesticidi dal momento del concepimento. L’attività e i modelli di agricoltura familiare contribuiscono all’esposizione dei minori ai pesticidi che finiscono sparsi nei campi, depositati su superfici interne, su residui di fogliame e nel suolo, oltre che nelle acque che alimentano i sistemi di irrigazione.
Nelle aree dove terreni agricoli e abitazioni sono molto vicini, aumentano notevolmente i rischi di esporre i bambini ai pesticidi. E quando i pesticidi vengono gestiti male, a rischio risultano non solo gli agricoltori e i loro figli, ma tutta la comunità. Inoltre il pericolo di un contatto con prodotti chimici pericolosi attraverso il gioco è abbastanza alto nei Paesi in via di sviluppo, specialmente nelle aree rurali.
Si pone poi il problema dei residui tossici negli alimenti: i bambini in tutte le comunità sono esposti ai pesticidi attraverso l’ingestione di frutta e verdura, nonostante le leggi e le politiche per mantenere bassi i livelli massimi di residui. Gli studi condotti dal Thai Pesticide Action Network, nel 2016, hanno trovato residui di pesticidi pericolosi vietati in Thailandia sul 35%-100% dell’ortofrutta in vendita al dettaglio.
Infine c’è la piaga del lavoro minorile: 108 milioni di ragazze e ragazzi sono impegnati nel lavoro agricolo, compresi i bambini di 5-7 anni. E l’agricoltura risulta uno dei tre più pericolosi settori di lavoro in materia di malattie professionali. Un’indagine sul lavoro minorile nel settore cacao, del 2002, ha documentato che 284.000 bambini stavano lavorando nel settore, e 153.000 di loro hanno utilizzato pesticidi senza alcuna protezione. Nell’industria del cotone, sei dei sette maggiori produttori di cotone sono stati segnalati per utilizzare il lavoro minorile.