Il bruco Lafigma ha infestato un’area di 22 milioni di chilometri quadrati e potrebbe arrivare in Italia. La sicurezza alimentare di 300 milioni di persone è a rischio. Allan Hruska, coordinatore tecnico Fao: “Con un uso intensivo dei pesticidi si finirebbe per acuire ancora di più il problema della carestia e della sicurezza alimentare”
di Jandira Moreno
Il parassita Lafigma (Fall Armyworm in inglese) ha già infestato 22 milioni di chilometri quadrati di piantagioni di mais, sorgo e miglio nell’Africa sub-sahariana, un’area pari all’estensione dell’Unione europea, dell’Australia e degli Stati Uniti messi insieme. Per ora, solo 10 Paesi del continente africano sono rimasti indenni. A lanciare l’allarme, nei giorni scorsi, è stata la Fao: l’infestazione potrebbe facilmente estendersi al Nord Africa e di lì arrivare in Italia e in tutta l’Europa meridionale. La sicurezza alimentare di 300 milioni di persone è messa a dura prova. E la Fao ha deciso di intervenire con metodi tradizionali invece che con il consueto uso dei pesticidi.
Perché?
“Perché occorre usare un sistema sostenibile sui tempi lunghi. Con questo parassita bisogna infatti convivere visto che sradicarlo è impossibile: si può solo controllarlo quando ha cominciato a produrre danni”, spiega Allan Hruska, coordinatore tecnico principale della Fao per il Fall Armyworm. “Nelle Americhe i pesticidi sono stati usati e si usano tuttora per contrastarlo. Ma questo sistema ha varie controindicazioni. In primo luogo è caro e quindi se lo possono permettere solo i grandi produttori in grado di affrontare il costo del fitofarmaco. E poi bisogna prendere precauzioni, anche queste costose, per evitare un pesante impatto sugli agricoltori che lo usano. In alcuni Paesi dell’America tropicale lo Stato ha, in un primo momento, garantito i pesticidi a tutti gli agricoltori, usando le risorse che in casi di epidemie di questo genere sono previste nel piano agricolo nazionale, ma una volta finiti i sussidi i contadini non sono stati in grado, sia per motivi economici che di sicurezza, di proseguire il trattamento”.
Per questo, dunque, si è deciso di procedere con “rimedi locali”, cioè nemici naturali del bruco come formiche, batteri, funghi ed essenze vegetali?
“Certo. In Africa il 90% degli agricoltori non è ricco, sono piccoli coltivatori e per loro non ha senso, economicamente parlando, investire in rimedi chimici costosi. Non ne trarrebbero nessun vantaggio, anzi ci perderebbero. Inoltre l’uso di pesticidi, nel caso della lotta contro Lafigma, risulterebbe senza limiti di tempo e quindi particolarmente dannoso per la salute della popolazione e per l’inquinamento del suolo e delle acque. In questo modo si finirebbe per acuire ancora di più il problema della carestia e della sicurezza alimentare”.
Quanti fondi sono stati stanziati per combattere l’epidemia?
“A oggi sono stati stanziati più di 9 milioni di dollari per la gestione ecologica di Lafigma ma il piano quinquennale ne prevede 87. Ora la FAO chiede ai propri partner un investimento ulteriore di 12 milioni per dotare 500mila agricoltori impegnati nella lotta biologica degli strumenti e dell’educazione necessari ad arginare l’epidemia. Si stima che in Africa gli agricoltori da supportare siano decine di milioni”.
E l’approccio agro ecologico sta funzionando in Africa?
Nonostante la difficoltà nel gestire questo parassita, i risultati stanno arrivando. Abbiamo istruito molti agricoltori ma abbiamo bisogno di arrivare anche a quelli che non parlano l’inglese, il francese, lo spagnolo o il portoghese. Per questo abbiano creato Nuru, un software che dà assistenza ai contadini in molte lingue locali, così da essere presenti e aiutare i piccoli coltivatori delle zone più remote del continente”.