Difendere il bio è difendere il Paese

La legge sul biologico è passata alla Camera ma senza l’accenno iniziale alla biodinamica

La legge sul biologico è passata alla Camera con un compromesso: l’accenno al biodinamico contenuto all’inizio del testo è stato eliminato. Ora il tormentato pdl passa di nuovo al Senato.

Entrambi i rami del Parlamento avevano già ampiamente dibattuto il testo ed espresso pieno sostegno con voto sostanzialmente unanime alla legge nella sua versione più vicina alle scelte europee, quelle che equiparano biologico e biodinamico. Il Parlamento aveva dunque manifestato il suo orientamento in modo chiaro e con un grado di consenso inusualmente ampio. Il ripensamento è frutto delle pressioni di una parte del mondo scientifico che alla fine ha trovato nel Nobel per la fisica Giorgio Parisi la maniera migliore per rappresentarsi.

Si è venuta così a creare una situazione di stallo. Da una parte le ragioni di un comparto di punta del mondo agricolo italiano sostenuto in modo compatto dalle associazioni del bio, da alcune associazioni di categoria e dalle associazioni ambientaliste per due buone ragioni. La prima è che si tratta di un fattore competitivo fondamentale per il sistema agricolo italiano e di un importante motore di occupazione. La seconda è che l’agricoltura biologica è – secondo una letteratura scientifica così ampia da rendere difficile una selezione – parte essenziale del modello di riconversione produttiva necessaria a evitare che la crisi climatica divenga un elemento capace di dissolvere la stabilità della nostra organizzazione sociale.

Dall’altra parte hanno pesato le ragioni di quei settori della comunità scientifica che si sono sentiti minacciati dall’inserimento della biodinamica in un testo di legge in quanto pratica non comprovata dal metodo scientifico.

E’ possibile che con il compromesso passato alla Camera, che dovrà essere sugellato rapidamente da un altro voto al Senato per rendere definitiva l’approvazione della legge, si possa chiudere la partita evitando di penalizzare il Paese. La legge contiene infatti elementi importanti per il rilancio del nostro comparto agricolo: dal marchio del bio made in Italy all’impiego di piattaforme digitali per garantire una piena informazione circa la provenienza, la qualità e la tracciabilità dei prodotti. E ci aiuta a centrare gli obiettivi europei di difesa della biodiversità, di lotta alla crisi climatica, di tutela della qualità del suolo.

Ma un iter così tormentato della legge deve servire ad avviare una riflessione anche nel campo di chi da sempre si è battuto per il rafforzamento del mondo del biologico. Le politiche di comunicazione adottate in parte non sono state abbastanza efficaci e in parte si sono trovate di fronte a una campagna mediatica estremamente aggressiva e organizzata. Non sono riuscite a far passare un messaggio fondamentale. Il biodinamico è una pratica antica, sostenuta da oltre un secolo di successi sul campo. E ha chiesto ripetutamente che le procedure alla base di questi successi (testimoniati dalla buona salute delle aziende che utilizzano questo metodo) fossero oggetto di ricerche scientifiche mirate a verificare i risultati e a comprenderli. Questi esperimenti non sono stati fatti. O meglio, cosa ben più grave, interrotti dietro pressioni dall’alto. Questo atteggiamento non ci sembra coerente con l’approccio scientifico che si basa sulla necessità di corroborare continuamente le affermazioni della scienza per farla avanzare.

La frattura che si è manifestata in occasione del voto alla Camera è stata però agevolata dal pressing condotto non solo da una parte del mondo della scienza ma da quello dell’agroindustria interessata a screditare il biologico in quanto competitor avvertito come pericoloso perché sostenuto da istituzioni internazionali del peso della Fao che si è più volte pronunciata contro i rischi derivanti dall’abuso della chimica di sintesi.

Ora si tratta di andare avanti. Le scelte dell’Unione Europea indicano con chiarezza la strada della crescita del biologico come necessaria sia dal punto di vista alimentare che da quello ambientale e climatico. E l’Italia parte avvantaggiata perché ha una percentuale di campi bio doppia rispetto alla media europea. Difendere questo primato è un interesse nazionale che non può essere accantonato per interessi di parte.