C’è chi inquina e c’è chi paga

La Corte dei Conti Ue evidenzia come il principio chi inquina paga non sempre viene applicato. E nell’agricoltura è applicato al contrario, ammonisce Maria Grazia Mammuccini di FederBio 

Il principio “chi inquina paga” – fondamentale nella normativa e nelle politiche ambientali dell’Unione europea – non è uniformemente applicato. Con il risultato che spesso il conto dell’inquinamento e dei danni ambientali non lo paga chi ha inquinato, ma finisce per essere pagato dai cittadini. 

A questa conclusione è arrivata la Corte dei Conti europea nel rapporto pubblicato alcune settimane fa nel quale sostiene la necessità di allargare l’orizzonte di applicazione del principio. In particolare il settore agricolo dovrebbe essere reso finanziariamente responsabile dell’inquinamento e dei danni ambientali che provoca.

Si tratta di un passaggio complesso in quanto l’applicazione del principio di responsabilità, e quindi il recupero dei costi nel settore agricolo, è complicato dalla presenza di fonti diffuse di inquinamento. Ma le contraddizioni in atto sono così clamorose da richiedere un’azione immediata.

Ad esempio relativamente al consumo delle risorse idriche l’agricoltura esercita una notevole pressione, ma non contribuisce nella stessa misura. Oggi in Europa – rileva il rapporto – l’agricoltura è responsabile de 58% dei consumi idrici, ma sono le utenze domestiche a pagare di più  nonostante consumino solo il 10 % dell’acqua. 

L’utilizzo di pesticidi e fertilizzanti poi provoca l’inquinamento dei corpi idrici contribuendo a determinare le non soddisfacenti condizioni di molti corsi d’acqua e laghi europei (non buone nel 60% dei casi). Eppure la responsabilità dell’agricoltura che inquina non viene riconosciuta. Spesso il settore agricolo – si legge nel rapporto della Corte dei Conti Ue – non paga per il trattamento delle acque reflue, dato che la maggior parte delle acque utilizzate non viene scaricata nella rete fognaria (e quindi le acque non sono trattate). 

“Nell’Unione europea, l’inquinamento agricolo diffuso da nitrati e pesticidi è la principale causa del cattivo stato chimico delle acque sotterranee. L’inquinamento da nitrati rappresenta un grave rischio per il futuro dei corpi idrici sotterranei. Esperti hanno dimostrato che grandi quantità di nitrati sono attualmente accumulate negli strati rocciosi tra il suolo e i corpi idrici sotterranei. Ci può volere un secolo o più prima che gli inquinanti raggiungano i corpi idrici sotterranei, ritardando così l’impatto dei cambiamenti delle pratiche agricole sulla qualità delle acque sotterranee”, precisa la Corte dei Conti. Insomma bisogna fare in fretta, perché tra il momento dell’inizio dell’intervento di riequilibrio e i risultati può passare molto tempo.

Il principio “chi inquina paga” è di difficile applicazione anche nel caso della contaminazione diffusa dei suoli, data la difficoltà intrinseca di attribuire la responsabilità a specifici soggetti che hanno provocato l’inquinamento, spesso avvenuto anni prima. Inoltre decontaminare i suoli è una attività costosa. Nel 2006 la Commissione ha stimato che il costo totale della bonifica dei suoli contaminati nell’Ue è pari a 119 miliardi di euro. 

 “Il principio ‘chi inquina paga’ è sacrosanto. Purtroppo, come diciamo da tempo, per l’agricoltura biologica è applicato esattamente al contrario”, commenta Maria Grazia Mammuccini, presidente di FederBio. “Gli agricoltori biologici, non utilizzando pesticidi e fertilizzanti di sintesi chimici, sono quelli che inquinano di meno. Eppure sono proprio loro a pagare di più. Basti pensare che gli agricoltori biologici per dimostrare di inquinare meno devono sostenere dei costi aggiuntivi per certificare i loro prodotti. In pratica per dimostrare di inquinare meno”. 

Non solo. “Per evitare le contaminazioni accidentali dei prodotti sono le coltivazioni biologiche che devono avere delle fasce di salvaguardia nei campi, mentre dovrebbe accadere l’inverso”, conclude Maria Grazia Mammuccini.