Il Rapporto Ispra: lo sperpero alimentare determina perdita di biodiversità, accumulo di gas serra in atmosfera, inquinamento dell’acqua, del suolo e di altre risorse.
Sprechi e biodiversità. Secondo la FAO, circa un terzo del cibo commestibile globale (1,3 di tonnellate edibili) è perso o sprecato ogni anno lungo l’intera filiera, per un valore di 2600 miliardi di dollari. Il 56% dello spreco si concentra nei Paesi industrializzati, il restante 44% nei Paesi in via di sviluppo.
Partendo dalla letteratura e dai dati esistenti, l’Ispra, nella giornata nazionale per la Prevenzione dello spreco alimentare, fornisce una visione d’insieme dei nessi tra temi ambientali e altri aspetti, quali la sicurezza e la sovranità alimentare, lo sviluppo territoriale, la bioeconomia. Il Rapporto “Spreco alimentare: un approccio sistemico per la prevenzione e la riduzione strutturali”, risultato di due anni di valutazione e analisi dei più recenti dati scientifici e informazioni della letteratura internazionale, indica come nel mondo lo spreco sia in aumento.
La sovrapproduzione di eccedenze
La principale causa di spreco alimentare è la sovrapproduzione di eccedenze; ad ogni incremento di fabbisogno, corrisponde un aumento maggiore di offerte e consumi, innescando la crescita dello spreco (+3,2% ogni anno). A questo, si associa l’aumento delle disuguaglianze (anche in Italia): nel mondo, 815 milioni di persone soffrono la fame e 2 miliardi la malnutrizione, mentre vi sono quasi 2 miliardi di persone in sovrappeso.
In Italia, per ristabilire condizioni di sicurezza alimentare, gli sprechi complessivi dovrebbero essere ridotti di almeno il 25%.
Lo spreco alimentare genera effetti socio economici e ambientali molto significativi. Ad esso sono infatti associate emissioni di gas serra per circa 3,3 miliardi di tonnellate (Gt) di anidride carbonica (CO2), pari a oltre il 7% delle emissioni totali. Se fosse una nazione, lo spreco alimentare sarebbe al terzo posto dopo Cina e USA nella classifica degli Stati emettitori.
Strategia per ridurre pressioni sull’ambiente
Fermo restando l’attuale livello dello spreco, per soddisfare la crescente domanda di cibo legata alle dinamiche demografiche (10 miliardi di persone entro il 2050), la produzione e la distribuzione di cibo dovrebbe aumentare del 50%. Questo potrà verificarsi aumentando da un lato la produzione per unità di superficie, dall’altro la superficie delle aree coltivate a scapito del capitale naturale e dei benefici offerti dalla natura.
Ne consegue, dice l’Ispra, che la riduzione dello spreco alimentare è una strategia chiave per ridurre le pressioni sugli habitat naturali e sulle varie componenti dell’ambiente.
Tra i risultati del Rapporto Ispra, emerge che per garantire la tutela ambientale è urgente puntare su un uso responsabile del consumo di suolo e sull’inversione dell’abbandono di aree rurali, che interessa gran parte dei Paesi industrializzati, nonché alla riconversione della produzione, favorendo l’agroecologia, la scienza che applica i principi dell’ecologia alla pianificazione e gestione dei sistemi agricoli e altri metodi estensivi tra cui l’agricoltura biologica.
Gli effetti ambientali
L’impronta ecologica dello spreco alimentare incide sul deficit totale di biocapacità per il 58% nel mondo, il 30% nel Mediterraneo, il 18% in Italia, dove lo spreco alimentare impiega il 50% della biocapacità.
Nonostante la limitatezza di dati e informazioni per poter condurre valutazioni esaustive sullo spreco alimentare legato a diversi sistemi alimentari, in Italia e nel resto del mondo, è possibile trarre alcune conclusioni. A parità di risorse usate i sistemi agro ecologici diversificati e di piccola scala producono da 2 a 4 volte meno sprechi rispetto ai sistemi agro-industriali e consumano in totale molte meno risorse. I primi infatti sono più sostenibili nel medio-lungo periodo e forniscono un valore nutrizionale superiore.
Nel mondo l’agricoltura di piccola scala produce almeno il 50% degli alimenti totali usando solo il 25% dei terreni agricoli. Alcuni studi hanno evidenziato che mentre i sistemi agroindustriali contano un totale di spreco pre-consumo pari al 40%, le filiere corte, biologiche, locali, consentono di ridurre gli fino al 5%. Chi si rifornisce solo in reti alimentari alternative (alternative food networks, AFN) spreca un decimo rispetto a chi usa solo canali convenzionali. I sistemi di agricoltura supportata da comunità (community supported agriculture, CSA) riducono gli sprechi al 7% contro il 55% dei sistemi di grande distribuzione.
Le prestazioni ambientali e sociali dei sistemi alimentari alternativi sono più efficaci dei sistemi agro-industriali. Tuttavia, alcune fonti informative riportano risultati opposti su specifici aspetti (consumi energetici nella logistica al dettaglio). Il rapporto evidenzia la necessità di indagare più approfonditamente il confronto tra sistemi alimentari alternativi e sistemi industriali in termini di consumo di risorse.
Prevenzione strutturale delle eccedenze
Per far rientrare i sistemi alimentari all’interno delle capacità ecologiche gli sprechi sistemici andrebbero ridotti strutturalmente ad almeno un terzo degli attuali nel mondo, a un quarto in Italia. Per raggiungere questo obiettivo diverse sono le strategie da seguire, tra cui: assegnare maggior valore sociale ed economico al cibo; favorire una produzione e un accesso equi al cibo, evitare eccessi commerciali e spettacolari.
I fabbisogni totali e le eccedenze vanno ridotti, la produzione ecologica e autosufficiente va sostenuta e aumentata, invertendo il consumo di suolo agricolo/naturale, sostenendo reti alimentari alternative, aggregando comunità resilienti, riducendo i prodotti animali, iper-processati, grassi insalubri, sali, zuccheri, contenendo i legami con i sistemi finanziari e il commercio internazionale, favorendo esempi di bioeconomia (quasi) circolare.