Fiorella Belpoggi, direttrice scientifica dell’Istituto Ramazzini, boccia la distanza minima di legge: non basta
Troppo pochi 30 metri di distanza minima per l’irrorazione dei pesticidi dai luoghi dove vivono le persone. La denuncia viene da Fiorella Belpoggi, direttrice scientifica dell’Istituto Ramazzini di Bologna e presidente onoraria di Marcia Stop-Pesticidi. Un allarme che fa il paio con il dato emerso dalla campagna condotta da Générations Futures. Servono almeno 100 metri per mettersi al sicuro dai pesticidi.
Il Pan è insufficiente
“In Italia, Il Piano d’Azione Nazionale per l’Uso dei Pesticidi (Pan) – dice Belpoggi – prevede una distanza minima di irrorazione dei pesticidi dalle abitazioni e dai luoghi di utilizzo pubblico definite aree sensibili. Insieme a allevamenti di bestiame, di api, di pesci e di molluschi, terreni agricoli dove si pratichi agricoltura biologica o biodinamica, corsi d’acqua e strade aperte al traffico, di soli 30 metri. Troppo poco. Troppo poco per escludere l’esposizione della popolazione che vive in abitazioni limitrofe. Troppo poco per escludere che pascoli, allevamenti, arnie vengano interessati dalla contaminazione per il cosiddetto effetto deriva”. Belpoggi fa riferimento in particolare proprio alla recente pubblicazione di Générations Futures.
Ricadute sulla popolazione più fragile
Per la direttrice scientifica dell’Istituto Ramazzini il campionamento di Générations Futures, pur costituito da 58 prelievi eseguiti con metodo validato e standardizzato, “non rappresenta un campione sufficiente per conclusioni statisticamente significative. Ma sicuramente conferma il problema dell’effetto deriva di sostanze tossiche verso la popolazione residente. Con ovvie ricadute sulla popolazione più fragile, quali donne gravide, neonati, bambini, anziani con patologie croniche”.
Lo studio avvalora gli allarmi
Questo studio – continua Belpoggi – “avvalora e rafforza gli allarmi sull’effetto deriva. Già evidenziato nello studio eseguito sull’erba dei parchi giochi della Provincia di Bolzano in aree altamente coltivate a meleto. La maggior parte dei composti è classificata come interferente endocrino, e quindi causa effetti avversi anche a dosi bassissime. Inoltre va tenuto conto dell’effetto sinergico delle miscele di sostanze tossiche, i cui meccanismi sono ancora poco studiati”.
A giudizio di Belpoggi, quindi, “appare urgente prendere a mano con decisione e coraggio la questione dell’agricoltura convenzionale. Stabilire regole che minimizzino l’esposizione prima di tutto degli agricoltori e poi dei residenti in aree agricole e dei consumatori. Se si vuole davvero la transizione ecologica bisogna favorire il passaggio all’agricoltura biologica. E per farlo va ristretto il numero di pesticidi autorizzati, vanno lasciati sul mercato solo i meno pericolosi definendo protocolli e calendari per il loro utilizzo”.
Una sostanza cancerogena va bandita
Soprattutto, aggiunge, “una sostanza riconosciuta cancerogena va bandita, ma bandita significa bloccare la produzione, non esportare verso altri Paesi, compresi gli Usa, che hanno regole meno restrittive di quelle europee e che ci rispediscono i loro prodotti importati contaminati da fitofarmaci da noi proibiti”. Inoltre “vanno incentivate le transizioni verso il biologico, applicando criteri che favoriscano la biodiversità soprattutto con incentivi pubblici”. Infine, raccomanda Belpoggi, “vanno educati i consumatori che devono preferire l’acquisto di cibo buono rispetto al cibo bello”.
Lo studio dell’Istituto Ramazzini
L’Istituto Ramazzini sta portando avanti uno studio sperimentale sugli effetti del glifosato e dei suoi formulati da cui emerge la capacità del pesticida di alterare il microbioma intestinale del ratto anche a basse dosi. In particolare riducendo la diversità batterica, una condizione già associata a diverse conseguenze negative per la salute quali diabete e alterazioni metaboliche. Inoltre, lo studio ha evidenziato per la prima volta effetti significativi dei pesticidi a base di glifosato sulla comunità dei funghi che abitano nel microbioma intestinali. Questo elemento è importante perché la presenza di categorie diverse di funghi nell’intestino umano è collegata ad una serie di malattie. Quali ad esempio la sclerosi multipla.
Il Global Glyphosate Study
Considerate le potenziali conseguenze patologiche, l’alterazione nella composizione del microbioma intestinale deve essere presa in considerazione nelle prossime fasi del Global Glyphosate Study che verterà sugli effetti tossici, cancerogeni e riproduttivi dei pesticidi a base di glifosato. Si tratta di uno studio multicentrico internazionale condotto dal Centro di Ricerca sul Cancro Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini, lanciato con l’obiettivo di fornire una valutazione più completa degli effetti tossici, cancerogeni e riproduttivi dei diserbanti basati sul glifosato. Partner dello studio globale sono: King’s College, George Washington University, Icahn School of Medicine at Mount Sinai.
Lo studio è accessibile pubblicamente online sull’archivio biomedico bioRxiv