A Glasgow poca attenzione al cibo e all’agricoltura, nonostante siano una delle chiavi per ridurre le emissioni nei prossimi decenni. La ricerca del Crea sulla zootecnia sostenibile
E’ stato il Guardian nei giorni della Cop26 a evidenziare che i sistemi alimentari sostenibili sono una pietra miliare per ridurre le emissioni. Ma sono stati in gran parte assenti dall’agenda di Glasgow. Ironicamente Carl Le Blanc di Climate Healers ha osservato che “l’agricoltura animale è stata tolta dall’agenda e inserita nel menu”. Per molti partecipanti non è stata prestata sufficiente attenzione al cibo e all’agricoltura alla Cop26. Nonostante sia una delle chiavi per ridurre le emissioni nei prossimi decenni. Nelle due settimane della Conferenza delle parti vi sono state giornate dedicate a temi come finanza, energia e trasporti. Ma non c’è stata una giornata dedicata all’agricoltura o ai sistemi alimentari. L’agricoltura è stata inclusa nella giornata della natura di sabato, dove si è parlato molto di proteggere le foreste ma meno di ridurre il consumo di carne e gli sprechi alimentari e di cambiare i sistemi dei sussidi agricoli.
Le emissioni globali dell’agricoltura
Circa il 20% delle emissioni globali proviene dall’agricoltura e dall’uso del suolo, e questo sale a oltre il 25% per il sistema alimentare nel suo insieme, che include lavorazione, imballaggio e trasporto. Eppure enormi quantità di carbonio possono essere sequestrate modificando i terreni agricoli, con la creazione di più foreste, torbiere più sane e zone umide.
Jyoti Fernandes, agricoltore e coordinatrice delle politiche e delle campagne presso la Landworkers’ Alliance ha lamentato del “così poco tempo alla Cop26 dedicato agli agricoltori agroecologici. L’agricoltura agroecologica può nutrire la biodiversità, sequestrare carbonio e rigenerare il pianeta prendendosi cura del nostro suolo, creando habitat e piantando alberi”. I sussidi sono al centro di come sono stati modellati i paesaggi agricoli. Un recente rapporto delle Nazioni unite ha concluso che quasi il 90% dei 540 miliardi di dollari di sussidi agricoli globali dati agli agricoltori distrugge la natura e alimenta la crisi climatica. I sussidi hanno generalmente incoraggiato gli agricoltori a produrre quanto più cibo possibile, ma questo è andato a scapito della fauna selvatica.
Il declino della biodiversità
Con la distruzione dell’habitat dovuta all’espansione dei terreni agricoli identificata come uno dei principali fattori del declino della biodiversità, molti sostengono che i sussidi all’agricoltura debbano essere radicalmente rivisti. Il rapporto delle Nazioni unite ha scoperto che reindirizzare i sussidi a pratiche agricole benefiche potrebbe rappresentare un “punto di svolta”. Ma nei discorsi dei leader al Cop26 ne è stato fatto scarso riferimento.
L’annuncio più significativo è arrivato durante la Giornata della natura, quando i governi hanno approvato l’Agenda d’azione politica, segnalando la loro intenzione di spostare i sussidi agricoli per sostenere l’agricoltura rispettosa della natura. Sebbene abbia coinvolto solo 16 paesi, includeva grandi emettitori, come Svizzera, Nigeria, Spagna ed Emirati Arabi Uniti; in totale questi paesi rappresentano il 10% delle emissioni mondiali di gas serra provenienti dall’agricoltura.
Le soluzioni di maggior impatto
Secondo Ishmael Sunga, Ceo della Confederazione dei sindacati agricoli dell’Africa australe (SACAU), “ciò che è sconcertante per noi è il motivo per cui l’agricoltura non è sul tavolo dei negoziatori. Concentrandosi su altre aree e non concentrandosi su cibo e agricoltura si sta scappando dal problema, ed è lì che si troveranno le soluzioni con il maggiore impatto”.
Anche per Slow Food la Cop26 è stata portatrice di “false soluzioni”. In particolare, la parte dei lavori dedicata alla natura e all’uso del suolo “non ha centrato un approccio corretto sulla produzione agricola – scrive in una nota Slow Food. Parlare di agricoltura sostenibile senza considerare l’intero sistema alimentare non permette infatti di avere una visione complessiva e veritiera sui problemi. Le proposte emerse sembrerebbero andare in due direzioni diverse presentate come complementari: da un lato la riforestazione e dall’altro le nuove tecnologie in agricoltura. In realtà a essere riproposto è un vecchio modello, secondo il quale il cibo è considerato come un insieme di merci prodotte su larga scala. Con monocolture assistite da tecnologie futuristiche che non faranno altro che far dipendere i contadini sempre di più dalle multinazionali e dai loro brevetti”.
Slow Food per una transizione giusta
“Per noi di Slow Food una transizione giusta – ha detto Marta Messa, direttore di Slow Food Europa – deve basarsi sulla biodiversità, l’agroecologia e la giustizia sociale. Non sulle innovazioni tecnologiche proposte dalle grandi multinazionali, lontane dalle innovazioni reali che le comunità locali sviluppano. Il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità dovrebbero essere affrontati insieme, in quanto facce della stessa medaglia collegati dai medesimi problemi”. Creare quanto si mangia in un conteso industriale, quindi, diventa solo un aggravio, ulteriore, al già martoriato ambiente.
Il contributo della zootecnia sostenibile
Al di fuori delle indicazioni emerse da Glasgow, però qualcosa si muove nel mondo della ricerca. I primi risultati del progetto europeo Life beef carbon, coordinato per l’Italia dal Crea, con il suo centro di Zootecnia e Acquacoltura, evidenziano che la zootecnia sostenibile può dare il suo contributo nella battaglia globale per contenere l’impatto del cambiamento climatico attraverso la riduzione delle emissioni. Nato con l’obiettivo di ridurre del 15% le emissioni di gas ad effetto serra negli allevamenti bovini da carne in 10 anni, il progetto ha, in realtà, superato le aspettative. In Italia (uno dei paesi produttori di carne coinvolti insieme a Francia, Irlanda e Spagna) le emissioni si sono ridotte in soli 3 anni del 10% in media. Del 15% qualora venga adottata più di una strategia di mitigazione.
Le misure più efficaci per la mitigazione
Le misure che si sono rivelate più efficaci per la mitigazione sono risultate il miglioramento della dieta e dell’alimentazione dell’animale, la cura per il benessere, l’uso delle deiezioni zootecniche per produrre energia rinnovabile, la gestione dei reflui zootecnici per la fertilizzazione di campi. E’ stato evidenziato anche il ruolo chiave svolto dal miglioramento delle prestazioni produttive per ridurre l’intensità di emissione. Da sottolineare, infine, come l’adozione anche solo di alcune delle misure (soprattutto quelle tese al miglioramento delle condizioni di benessere degli animali) apporti vantaggi economici per l’allevatore.
Tutto ciò ha consentito, quindi, la riduzione del carbon footprint (impronta di carbonio) della carne prodotta, calcolato a partire da una serie di dati raccolti quali la superficie aziendale, gli animali allevati, le colture, l’alimentazione e il tipo di allevamento. Si tratta del punto di partenza per l’evoluzione dell’intero settore e rappresentano un passo importante per migliorare la sostenibilità degli allevamenti da carne e dei bovini in generale. Contribuendo alla strategia “Farm to fork”, secondo le indicazioni del New Green Deal europeo.