Pesticidi e acque. Sono in 3 punti di campionamenti su 4

Emerge dall’annuario dei dati ambientali Ispra. Ancora in fase di pubblicazione il Rapporto nazionale pesticidi nelle acque

di Simonetta Lombardo


Aumenta la diffusione della contaminazione di pesticidi nelle acque superficiali e profonde. Nel 2018 sono stati trovati residui di pesticidi nel 77% dei punti di campionamento delle acque superficiali e nel 36% di quelle sotterranee. In altre parole, in oltre tre punti di campionamento su quattro dei fiumi e dei laghi del nostro Paese si registra presenza di pesticidi derivanti soprattutto dall’uso agricolo. È un trend in ascesa: nelle indagini precedenti, relative al 2016, la presenza di pesticidi si rilevava nel 67% dei punti delle acque superficiali e nel 33% di quelle sotterranee. 

È quanto emerge dai dati riportati nell’Annuario dell’Ispra, presentato all’inizio di giugno, mentre è in via di pubblicazione il report completo sui pesticidi nelle acque elaborato dalla stessa istituzione di ricerca. “I dati evidenziano una presenza diffusa della contaminazione da pesticidi. Questo dipende anche dal fatto che i controlli sono migliorati sia in termini di copertura territoriale, sia in termini di sostanze cercate. È ragionevole ipotizzare che con il miglioramento delle indagini, specialmente in certe regioni del centro-sud del Paese, verrà alla luce una contaminazione finora non rilevata”, anticipa Pietro Paris, responsabile della sezione sostanze pericolose dell’Ispra e coordinatore del Rapporto nazionale sui pesticidi nelle acque. “Nella maggior parte dei casi le concentrazioni sono basse e inferiori ai limiti stabiliti dalle norme ambientali. Tuttavia, tenendo conto delle lacune conoscitive, è importante evidenziare anche la presenza a basse concentrazioni di queste sostanze, che sono generalmente prodotte artificialmente e non presenti naturalmente nell’ambiente”.

Non si tratta di affermazioni tranquillizzanti. La legislazione europea in materia di pesticidi è tra le più avanzate del mondo; di fatto, però, il monitoraggio dimostra che la normativa da sola non è sufficiente a prevenire lo stato di contaminazione delle acque. Ci sono diverse ragioni. In primo luogo gli studi e le previsioni fatte nella fase di autorizzazione delle sostanze non sempre si dimostrano adeguati a rappresentare quello che viene chiamato il destino delle sostanze nell’ambiente. D’altro canto, una delle norme che più dovrebbe essere efficace nel controllare l’impatto dei pesticidi (la direttiva sull’uso sostenibile) stenta ad essere calata sul territorio. Come riconosciuto dalla stessa Commissione europea: “È necessario che gli Stati membri adottino tutte le necessarie misure appropriate per promuovere e incentivare una difesa fitosanitaria a basso apporto di pesticidi, privilegiando ogniqualvolta possibile i metodi non chimici”.

Pesticidi nelle acque, normativa e limiti

“I limiti per i pesticidi nelle acque potabili nascono più di 20 anni fa, con la direttiva 98/83/CE attualmente in fase di revisione: 0,1 microgrammi/litro per una singola sostanza e 0,5 microgrammi/litro per il totale delle sostanze nelle acque”, spiega Paris. “Questi valori all’epoca rappresentavano la capacità analitica dei laboratori, e la volontà del legislatore era chiara: ’per quello che riusciamo a controllare, non ci devono essere pesticidi nelle acque destinate al consumo umano.’ Dietro tali limiti non c’era, infatti, una valutazione tossicologica particolare, quanto una volontà di cautela di fronte ai rischi di sostanze progettate per uccidere organismi che vengono reputati dannosi alle attività umane. Ma i meccanismi fondamentali della vita sono simili per tutti gli organismi, e nemmeno l’uomo è al riparo dagli effetti negativi dei pesticidi”. 

I limiti fissati, quindi, sono sostanzialmente convenzionali, ma non è affatto detto che tutelino sempre la salute umana. Le sostanze mutagene, quelle cancerogene, quelle tossiche per la riproduzione, non hanno generalmente limiti di sicurezza (sono definite sostanze “senza soglia”), perché la loro tossicità è provata anche in presenza di dosi bassissime. Lo stesso accade per certe sostanze di particolare rilevanza ambientale, quali le sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche (PBT), per gli inquinanti organici persistenti (POP), che rimangono nell’ambiente e si possono trovare anche a grande distanza dalle zone di utilizzo, fino nelle aree polari. Molte delle sostanze indicate nella convenzione di Stoccolma sui POP sono pesticidi, la cui pericolosità, purtroppo, è stata riconosciuta solo a posteriori, dopo anni di utilizzo massiccio. “C’è poi da aggiungere – aggiunge Paris – che molto spesso nei campioni di monitoraggio si trova un cocktail di sostanze di cui non si conosce l’effetto complessivo, che può essere di tipo additivo ma anche sinergico, cioè molto superiore a quello determinato dalle singole sostanze. Come riconosciuto dagli organi scientifici della stessa Commissione Europea, una delle lacune maggiori nella valutazione del rischio delle sostanze chimiche è che non viene considerato l’effetto delle miscele di sostanze che si possono formare nell’ambiente, di cui generalmente non si conosce neanche la composizione.  “Solo per fare un esempio, se ci sono sostanze che nel corpo umano vanno a colpire il fegato, un organo che ha una funzione disintossicante, l’introduzione di una seconda sostanza tossica potrebbe avere un effetto molto più alto”, aggiunge il responsabile Ispra. 

In Italia 130 mila tonnellate di pesticidi ogni anno

Sembrerebbe una situazione di rischio da cui è difficile uscire. “La verità è che l’utilizzo dei pesticidi si basa su un compromesso molto fragile, perché si tratta di sostanze pericolose intenzionalmente rilasciate nell’ambiente. In Italia se ne utilizzano circa 130 mila tonnellate ogni anno, non possiamo stupirci di trovarne nei corpi idrici, come anche in altre matrici ambientali. Ci sono sostanze tossiche anche a concentrazioni estremamente basse, come nel caso degli insetticidi neonicotinoidi, ad esempio, l’Imidacloprid ha una tossicità anche a millesimi di microgrammo/litro. Lo sversamento di una quantità modesta può distruggere l’ecosistema di un corso d’acqua”, rileva Paris. Gli insetticidi neonicotinoidi sono considerati tra le principali cause della perdita di biodiversità. Recentemente sono stati banditi in Europa, ma per anni se ne è fatto un uso massiccio, che avrà ripercussioni ancora a lungo. 

In realtà, sulla questione dei limiti dei pesticidi nelle acque potabili e della continua ascesa dei record negativi su questo fronte sembra di fatto esserci una convergenza di diversi interessi abbassare l’attenzione pubblica e la stessa azione dei legislatori. A cominciare da un dossier patrocinato dall’associazione SETA-Scienza e tecnologie per l’agricoltura che chiede ai decisori politici di alzare i limiti dei pesticidi nelle acque, perché non si riesce a rispettarli.

“I limiti delle acque potabili, peraltro confermati anche nella proposta di revisione normativa in corso, hanno un razionale basato sul principio di precauzione e la loro validità non dovrebbe essere messa in discussione. Sarebbe da irresponsabili. Non si ha piena consapevolezza dei rischi tossicologici e ambientali di queste sostanze, della loro reale persistenza nell’ambiente, non è ancora adeguatamente noto lo stato della contaminazione. Ancora oggi troviamo sostanze bandite da anni, l’esempio più noto è quello dell’atrazina, vietata 30 anni fa e ancora largamente presente nelle acque in particolare nella Pianura Padana”.