Il primo allarme è stato lanciato 13 anni fa dall’Oms. Aumento delle temperature, deforestazione e commercio di specie selvatiche fanno crescere il rischio
di Maria Pia Terrosi
Virus, un rischio sempre più concreto. C’è un legame molto più stretto di quanto si pensi tra ambiente e salute. Non solo per le patologie legate – per esempio – ai fattori di rischio ambientale che ogni anno fanno più di 12 milioni di morti nel mondo. Risale infatti a 13 anni fa il rapporto “World Health Report 2007”, uno dei primi allarmi lanciati dall’Oms sulla relazione tra i cambiamenti climatici e l’insorgenza di malattie infettive di origine batterica e virale. Un filone di ricerca approfondito negli anni a seguire da molti studi sul rapporto tra emergenza climatica e comportamento di virus e batteri, e quindi sulla diffusione nel mondo di malattie infettive.
Virus, via libera alla colonizzazione di nuove aree
In primo luogo il riscaldamento globale accelera le migrazioni delle specie in nuove aree del pianeta: una colonizzazione spesso agevolata dalle mutate condizioni climatiche e dall’assenza di predatori naturali. Insetti, uccelli, mammiferi spostandosi portano con sé virus e batteri di cui sono vettori, favorendo così la diffusione dei patogeni in nuovi territori. Un solo grado in più può incidere fortemente sul modo in cui si diffondono le infezioni. Anche per questo – ammoniscono gli studiosi – l’aumento delle temperature è un elemento di forte preoccupazione dal punto di vista epidemiologico: può portare malattie come la malaria, la febbre dengue o la malattia di Lyme a diffondersi in nuove aree del pianeta.
Del resto come ha di recente ricordato in un’intervista Giuseppe Miserotti, medico dell’Associazione Medici per l’Ambiente (Isde), i picchi delle ultime epidemie, come per esempio la Sars e l’influenza aviaria nel 2003 e quella suina nel 2009, si siano verificati in corrispondenza di picchi di temperature.
Ma non è solo l’incremento della temperatura a favorire la diffusione di patogeni. Un ruolo importante lo hanno anche le variazioni nella frequenza e intensità delle precipitazioni che determinano ad esempio una diversa distribuzione degli insetti, fra i principali responsabili nella trasmissione di malattie infettive.
Un esempio viene dalle zanzare. Studi recenti dell’Oms hanno evidenziato come l’eccessiva piovosità e umidità favoriscono la diffusione. L’anno successivo a un evento di El Niño il rischio che si verifichi un’epidemia di malaria aumenta di circa cinque volte. La stessa Oms utilizzando modelli previsionali matematici ha stimato che già piccoli aumenti di temperatura possono influenzare notevolmente il potenziale di trasmissione di questa malattia. A livello globale, aumenti più consistenti di temperatura (+2-3 ° C) farebbero crescere del 3.5% il numero di persone a rischio di contrarre la malaria. Vale a dire milioni di individui. Questo perché le temperature più elevate accorciano il ciclo di sviluppo degli insetti e ne allungano il periodo riproduttivo, aumentando così la durata del periodo favorevole alla trasmissione di virus e batteri.
Salto di specie per virus e batteri
A tutto ciò va aggiunto il rischio spillover – il salto di specie – fenomeno in base al quale un batterio o un virus riesce a passare da una specie animale a un’altra, in alcuni casi arrivando fino all’uomo. Cosa più frequente di quello che si può immaginare. Secondo alcuni studiosi con questo meccanismo si sono diffusi circa 2/3 dei virus che colpiscono l’uomo, e forse lo stesso Covid 19. Gli studiosi mettono il salto di specie in relazione a diversi fattori. In particolare, la possibilità di contatto tra l’uomo e l’altra specie, fattori ambientali e anche la variazione delle temperature. Le stesse attività umane possono facilitare lo spillover. In particolare la deforestazione, l’espansione incontrollate delle aree agricole, l’allevamento intensivo e il commercio di specie selvatiche, pratiche che alterando gli ecosistemi naturali fanno crescere le probabilità d’incontro tra le specie animali e l’uomo.
Risveglio di antichi batteri
C’è poi l’ipotesi suggerita da alcuni studiosi sul rischio proveniente dal risveglio di antichi batteri e virus (vaiolo, antrace, spagnola) finora congelati nei ghiacci e nel permafrost. La riduzione della criosfera dovuta al riscaldamento globale potrebbe metterci a contatto con patogeni per noi oggi del tutto sconosciuti.
Resistenza agli antibiotici
Non solo. Sembra che il riscaldamento globale aumenti anche la resistenza di alcuni batteri agli antibiotici. Questa relazione è stata evidenziata da uno studio condotto dall’Università tedesca Gottingen e pubblicato sulla rivista Nature Climate Change. I ricercatori hanno identificato un legame statisticamente significativo tra aumento della temperatura e incremento della resistenza agli antibiotici per tre batteri molto comuni.