I suoli gestiti a livello organico emettono il 40% in meno di protossido di azoto (un gas con effetto serra 310 volte superiore a quello della CO2) per ettaro rispetto ai terreni coltivati convenzionalmente. La rinuncia a grandi quantità di fertilizzanti chimici e la rotazione delle colture portano a ridurre le emissioni
di Goffredo Galeazzi
L’agricoltura biologica mitiga l’effetto serra, ha un ruolo primario nell’assorbimento di anidride carbonica, accresce la fertilità dei suoli e salvaguarda la biodiversità. Un test a lungo termine di oltre 40 anni ha dimostrato che i suoli gestiti a livello organico emettono il 40% in meno di protossido di azoto (un gas con effetto serra 310 volte superiore a quello della CO2) per ettaro rispetto ai terreni coltivati convenzionalmente. La quantità di gas emesso è anche inferiore per tonnellata di resa, o uguale nel caso della coltivazione del mais. Questo è il risultato di uno studio condotto nell’ambito dell’esperimento sul campo a lungo termine DOK a Therwil (Canton Basilea Campagna, Svizzera).
Uno studio che parte nel 1978
Nello studio DOK, le coltivazioni biodinamica (D), bio-organica (O) e convenzionale (K) di colture arabili come grano, patate, mais, soia o erba di trifoglio sono state confrontate dal 1978 nello stesso sito. Lo studio è stato portato avanti da Andreas Gattinger (ex ricercatore della FiBL, ora professore all’Università di Giessen) assieme al centro svizzero di eccellenza per la ricerca agricola Agroscope e sostenuto dall’Ufficio federale svizzero dell’ambiente (UFAM) e dall’agricoltura (UFAG). I risultati sono stati di recente pubblicati sulla rivista Nature.
L’agricoltura rappresenta circa l’11% delle emissioni globali di gas serra. Le emissioni dal suolo rappresentano la quota maggiore, in particolare sotto forma di protossido di azoto: secondo l’Agenzia ambientale Usa (Environmental Protection Agency) il suo potenziale di riscaldamento climatico è pari a 310, ovvero su cento anni il protossido di azoto risulta 310 volte più impattante dell’anidride carbonica. “Mentre prima si pensava che le aree coltivate biologicamente producessero più gas serra per tonnellata di resa, il nostro studio fotografa una immagine diversa”, afferma Gattinger.
La rinuncia ai fertilizzanti chimici
E’ risultato che le aree coltivate biologicamente hanno circa il 40% in meno di emissioni di protossido di azoto per ettaro rispetto alle aree di coltivazione convenzionale. In termini di resa, il sistema biodinamico ha le emissioni di protossido di azoto più basse, il trattamento di controllo “a fertilizzazione zero” più alto. La resa in mais non ha mostrato differenze nelle emissioni di protossido di azoto tra agricoltura biologica e convenzionale.
“Questo dimostra non solo che la rinuncia a grandi quantità di fertilizzanti chimici porta a ridurre le emissioni nella produzione vegetale, ma anche che l’utilizzo mirato di diverse rotazioni delle colture e di letame degli allevamenti come fertilizzante favoriscono il mantenimento di importanti funzioni del suolo”, dicono gli autori. Questo risultato è supportato dal fatto che il suolo che perde fertilità rilascia più protossido di azoto. Insomma, accrescere il tasso di sostanza organica nel terreno rappresenta il più importante sistema di assorbimento di carbonio sul nostro pianeta.
“Con questi risultati, i sistemi di agricoltura agricola possono essere ottimizzati per quanto riguarda le loro emissioni di gas serra”, precisano gli studiosi.