I dati del Bioreport confermano: dalla Pac solo briciole di incentivi al bio

Come aveva anticipato il Rapporto Cambia la Terra, c’è un’asimmetria inaccettabile: solo il 2,9% dei finanziamenti della Pac premia il modello agricolo che abbatte l’impatto dei pesticidi, difende la fertilità del suolo, protegge il clima e la biodioversità. E che viene impiegato nel 15% dei campi.

di Maria Grazia Mammuccini


Dal Bioreport 2017-2018 emerge un’importante conferma della dinamicità del settore biologico e della sua propensione all’innovazione. Il dato si ricava dall’analisi dei parametri di spesa dei PSR (Piani Sviluppo Rurale). Nel periodo 2007-2013 il biologico ha infatti ottenuto il 21% del complesso delle misure del PSR, misure che comprendono l’assieme delle politiche miranti agli investimenti, alla promozione e all’innovazione, temi particolarmente sentiti da imprese come quelle del biologico che sono più giovani e più orientate all’innovazione della media. Insomma in quel 21% non ci sono solo gli incentivi al biologico, ma anche il sostegno ai progetti di ricerca, di promozione, di sviluppo destinati all’insieme delle imprese agricole. “Il settore biologico ha avuto un ruolo rilevante anche nell’intercettare la spesa di altre misure dello sviluppo rurale, a testimonianza della dinamicità delle aziende biologiche”, si legge sul Bioreport. “La loro maggiore propensione alla diversificazione e all’innovazione, derivante dalla necessità di assicurare rese soddisfacenti senza il ricorso all’utilizzo di prodotti chimici di sintesi, ha probabilmente spinto all’accesso di un maggior numero di misure”

Prendendo poi in considerazione il PSR 2014-2020, arriva la conferma dei dati forniti dalla Rete Rurale Nazionale e riportati nel Rapporto Cambia la Terra: il 9,5% dei fondi è stato stanziato per la misura 11 dedicata all’agricoltura biologica, mentre il 13,20% è stato destinato alla misura 10 per l’agricoltura integrata e l’agricoltura conservativa. Il fatto che l’agricoltura integrata e quella conservativa – che fanno uso di fertilizzanti e pesticidi di sintesi chimica compreso il glifosato, maggior inquinante delle nostre acque come ci dicono i dati dell’Ispra e classificato come probabile cancerogeno – abbiamo una quota di finanziamenti superiore all’agricoltura biologica – che risulta avere un impatto positivo sulla fertilità del suolo, sulla riduzione dell’uso dei pesticidi, sulla biodiversità, sul clima – è un evidente paradosso. Si tratta di una asimmetria inaccettabile. Il 9,5% non rappresenta neanche il livello raggiunto dal biologico come Superficie agricola utilizzata che si attesta ormai intorno al 15%.

Per avere il quadro complessivo dei finanziamenti al settore agricolo bisogna inoltre esaminarne l’andamento totale. I dati del Servizio Studi della Camera ci dicono che i finanziamenti della PAC 2014-2020 all’agricoltura italiana, sono 41,5 miliardi di euro che vengono dell’Unione europea e 21 miliardi che arrivano dallo Stato. Sul totale di circa 62,5 miliardi, la parte che va al biologico è di 1,8 miliardi: è il 2,9% delle risorse.

Di questi 62,5 miliardi, la maggior parte, circa il 75%, è destinata al cosiddetto Primo Pilastro e all’ Organizzazione Comune di Mercato (a quest’ultima va circa il 9,5%), e mediamente il 25% è destinato invece al Secondo Pilastro, che sono i Programmi di sviluppo rurale delle Regioni costruiti sulla base di misure elaborate a livello europeo.

Sul primo Pilastro della Pac i finanziamenti destinati specificatamente al biologico praticamente non esistono. Il biologico beneficia del cosiddetto greening che è di fatto solo una maggiorazione percentuale dell’aiuto di base. Il greening non ha sostanzialmente prodotto risultati perché, in funzione delle esenzioni previste dalle norme, viene applicato nel nostro Paese a circa il 12% delle aziende, e poi, oltre al biologico ne beneficiano anche chi fa avvicendamento colturale e chi cura i pascoli o le zone rifugio per la fauna. Dunque alla fine l’aiuto destinato specificatamente al biologico è veramente irrilevante.

Gli aiuti diretti del Primo Pilastro della PAC, nonostante alcune modifiche che ci sono state, sono invece concentrati sull’agricoltura convenzionale. Sono quasi tutti legati a titoli maturati sulla base di quello che gli agricoltori producevano nel triennio dal 2000 al 2002, cioè di fatto si sono trasformati in una rendita di posizione che le aziende si portano dietro vita natural durante, indipendentemente da quello che fanno. E’ chiaro che questo meccanismo non è più sostenibile: gli aiuti diretti rappresentano veri e propri sussidi destinati alle aziende che dovrebbero essere legati alla produzione di beni pubblici perché è giusto dare sostegno all’agricoltura e al reddito a patto che si producano risultati positivi per la collettività, per la salute e per l’ambiente.

Infine occorre evidenziare che ci troviamo di fronte a delle norme e a delle modalità di aiuto comprensibili solo agli addetti ai lavori. I fondi pubblici dovrebbero essere distribuiti con regole più semplici e comprensibili a tutti, perché tutti i cittadini hanno il diritto di poter capire come vengono spesi i soldi delle loro tasse

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