I Signori dei semi

Tre multinazionali – Monsanto/Bayer, DuPont/Dow Chemical e Syngenta/ChemChina – oggi controllano a livello globale  il 63% del mercato delle sementi e il 75% di quello dei fitofarmaci

di Maria Pia Terrosi


L’acquisizione di Monsanto da parte della Bayer, seguita alla fusione tra DuPont e Dow Chemical e tra Syngenta e  ChemChina,  rappresenta l’atto conclusivo  che ha ridefinito gli equilibri  nel mercato globale dei semi e dei fitofarmaci. Sono infatti queste tre multinazionali – Monsanto/Bayer, DuPont/Dow Chemical e Syngenta/ChemChina – che oggi controllano a livello globale  il 63% del mercato delle sementi e il 75% di quello dei fitofarmaci  (pesticidi  ed erbicidi) a esso strettamente legato.

In poco più di 20 anni il mercato mondiale delle sementi ha subito una fortissima concentrazione: se prima erano alcune migliaia le aziende produttrici di semi attive nei vari Paesi del mondo, oggi ne sono rimaste poche decine. E  – come abbiamo visto – pochissime fanno la parte del leone.  Lo dimostra qualche numero: Monsanto e Bayer insieme controllano quasi il 30% del mercato dei semi (dati 2015), Dow e Dupont il 25%. Nel 2014 Monsanto e DuPont detenevano il 70% del mercato del mais e il 61% di quello della soia. Per quanto riguardo i fitofarmaci in testa c’è Syngenta che ha una quota di mercato pari al 20%, seguita da Bayer al 18%, da Basf (13%), Dow (10%) e Monsanto (8%).

Numeri che evidenziano una situazione di squilibrio e di assoggettamento degli agricoltori che di fatto non hanno possibilità di scelta e sono costretti a seguire regole imposte dalle multinazionali sia relativamente all’acquisto delle sementi che dei mezzi tecnici (fitofarmaci e fertilizzanti) necessari alla loro coltivazione.

D’altronde la colonizzazione integrale del mercato è una condizione necessaria per coprire i costi elevatissimi sostenuti dalle multinazionali: servono fino a 136 milioni di dollari per avere un nuovo seme, fino a 250 milioni per lo sviluppo di un nuovo pesticida.

Un monopolio che non solo ha asfissiato il mercato (sia le piccole aziende che i coltivatori), ma che ha prodotto effetti devastanti sotto il profilo ambientale e della biodiversità.  Oggi sono solo 30 le colture del pianeta che forniscono il 95% della domanda globale di alimenti (dati FAO, 2010) e da appena tre –  mais, frumento e riso – viene il 60% delle calorie.

A forza di specializzare le colture – è ancora la Fao a parlare – è andato perso il 75% della biodiversità e un altro terzo di ciò che resta se ne andrà da qui al 2050. Con conseguenze pesanti anche perché la biodiversità agricola è essenziale poiché rende le colture meno vulnerabili rispetto alle eventuali fitopatologie e in grado di rispondere meglio ai cambiamenti climatici.

 

 

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