Rischi sulla salute da contaminazione acuta, effetti dell’esposizione cronica, presenza nei cibi e nell’ambiente. Sugli effetti dei pesticidi esistono ormai migliaia di studi scientifici: la ricerca ha raggiunto, per qualità e quantità, dimensioni che permettono di fare il punto sulla situazione. Le “Note sull’inquinamento da pesticidi in Italia” curate da Massimiliano Pietro Bianco dell’Ispra, con i contributi di esponenti dell’Isde, rappresentano una sintesi efficace di questa grande mole di analisi, che consente anche ai non addetti ai lavori di orientarsi. Ecco una sintesi dei punti principali
di Carlo Luciano
I RISCHI SANITARI
Le ricerche citate in queste note non comprendono il problema dell’avvelenamento acuto da pesticidi, che può avvenire sia in modo volontario (suicidi) o accidentale; un problema non certo di secondaria importanza dal momento che secondo l’Oms si contano ogni anno oltre 26 milioni di casi di avvelenamento con 258.000 decessi annui a livello mondiale e negli Usa il 45% di tutti gli avvelenamenti da pesticidi si registra nei bambini. Nelle note non si affronta neppure il problema legato a incidenti nel sistema di produzione e di stoccaggio, problema anche questo tutt’altro che trascurabile. Basta pensare al disastro di Bhopal nel 1984, in India, con la fuoriuscita di 40 tonnellate di isocianato di metile che causò ben 8.000 morti e 500.000 intossicati. O all’incidente alla Farmoplant, in Toscana, che nel 1988 comportò la fuoriuscita del rogor con la formazione di una nube tossica che si diffuse per oltre 2.000 chilometri quadrati. O all’incidente di Seveso, nel 1976, con lo scoppio di un reattore contenente triclorofenolo, sostanza chimica utilizzata anche come precursore di pesticidi.
Si affronta invece il problema delle conseguenze dell’esposizione cronica a pesticidi. Un’esposizione che può realizzarsi non solo per motivi occupazionali, ma anche per ingestione di acqua o alimenti contaminati, o per motivi residenziali. Quest’ultima possibilità riguarda sia chi vive in prossimità di aree agricole sia chi abita in città, a causa di trattamenti impropri contro le zanzare o nei giardini. Mentre per quanto riguarda l’alimentazione occorre ricordare che i pesticidi sono sempre più frequentemente ritrovati nelle acque superficiali e profonde e in oltre un terzo degli alimenti che portiamo in tavola.
Non stupisce dunque che indagini di biomonitoraggio evidenzino pesticidi nel plasma, nel cordone ombelicale o nelle urine: una recentissima ricerca a Roma sulle urine di 14 donne gravide, non professionalmente esposte, ha mostrato in tutte la presenza di glifosato a dosi variabili da 0,43 ng/ml fino a 3,48 ng/ml 3.
La mole più ampia di conoscenze sulla relazione fra esposizione a pesticidi e patologie croniche viene da due fonti. La prima è costituita dall’Agricoltural Health Study (AHS) 4, un grande studio prospettico di coorte che, fra il 1993 e il 1997, ha interessato tutti gli agricoltori e le loro famiglie residenti in North Carolina e Iowa. La seconda sono le indagini sui veterani americani esposti all’Agente Arancio, defoliante ampiamente usato durante la guerra del Vietnam. In seguito, studi sperimentali e indagini epidemiologiche non solo su lavoratori ma anche su popolazioni residenzialmente esposte sono stati condotti in ogni parte del mondo.
I PERICOLI LEGATI ALL’ESPOSIZIONE CRONICA
Questa quantità crescente di evidenze scientifiche documenta in modo incontestabile che per esposizione cronica a pesticidi si registra un incremento del rischio di tumori nell’adulto e nel bambino, patologie metaboliche, neurodegenerative, polmonari, cardiovascolari, renali, nonché malformazioni, disordini riproduttivi, patologie autoimmuni; soprattutto danni al cervello in via di sviluppo con conseguenti deficit alla sfera cognitiva, comportamentale, sensoriale, motoria fino ad una riduzione del quoziente di intelligenza. Rischi che sono ancor più elevati se l’esposizione avviene nelle fasi più precoci della vita, a cominciare dal periodo embrio-fetale.
Dunque accanto ai problemi creati dall’avvelenamento acuto da pesticidi, si va dunque mettendo sempre più chiaramente a fuoco il pericolo derivante dall’esposizione cronica a queste sostanze: dosi piccole ma prolungate nel tempo possono avere effetti cancerogeni, di squilibrio ormonale e di alterazione di svariati organi e sistemi dell’organismo umano (nervoso, endocrino, immunitario, riproduttivo, renale, cardiovascolare e respiratorio).
Tra gli esempi citati ci sono gli studi dell’Azienza Sanitaria del Sud Tirolo (2017) in cui si osserva che l’incidenza di Alzheimer e demenze nel periodo 2010- 2014 per le femmine è significativamente più elevata nell’area ad alta intensità di coltivazioni rispetto a quella rilevata nelle aree a bassa intensità di coltivazioni. Anche l’incidenza di Parkinson nel periodo 2010-2015 per i maschi è significativamente più elevata nell’area ad alta intensità di coltivazioni. Infine il tasso medio di incidenza della tireopatia autoimmunitaria (Hashimoto) riferito agli anni 2010-2015 è significativamente più elevato nell’area ad alta intensità di coltivazioni rispetto a quella con bassa intensità, per entrambi i generi.
PESTICIDI NEL PIATTO
Dal rapporto di Legambiente “Pesticidi nel piatto” risulta che in Italia il 36.4% dei campioni di frutta e verdura analizzati presenta residui di pesticidi. Non solo: sono in aumento i campioni con residui di più di un pesticida: in oltre un terzo degli alimenti che arrivano sulle nostre tavole sono presenti prodotti con multiresidui. Il fatto che quasi sempre ognuna di queste sostanze sia, presa isolatamente, entro i limiti di legge ci mette al riparo dall’effetto cocktail? Difficile essere ottimisti quando ogni sostanza viene presa in considerazione singolarmente senza tener conto del multi-residuo e solo di recente si è avviato un percorso a livello europeo per prendere in esame l’effetto cocktail. Inoltre i limiti di legge sono riferiti a una persona adulta di 70 kg e non si tiene conto del fatto che dosi ben al di sotto dei limiti di legge possono essere pericolose specie in fasi cruciali della vita, in particolare per sostanze che agiscono come interferenti endocrini.
Queste preoccupazioni risultano confermate dai controlli effettuati nel 2015 ed elaborati dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali: le irregolarità sul territorio nazionale si mantengono al di sotto dell’1 %. Ma i campioni con residui sono il 34,6%. Per quanto riguarda la frutta si arriva al 60,5%. Rispetto al 2012, il multiresiduo è aumentato dal 17,1 % al 22,4 %. Sono stati trovati fino a 5 residui nelle mele, 8 nelle fragole, 15 in un campione di uva da tavola dalla regione Puglia.
E NELLE ACQUE
I pesticidi sono una presenza costante nelle nostre acque, soprattutto nelle zone di pianura e collina. Nel 2014, secondo gli ultimi dati disponibili, nelle acque superficiali italiane sono stati trovati pesticidi nel 64% dei punti di monitoraggio e nel 34% del totale dei campioni. Nelle acque sotterranee sono risultati contaminati circa il 32% del totale dei punti di monitoraggio e il 25,5% del totale dei campioni. Le sostanze trovate sono in totale 224.
A destare particolare preoccupazione è il tempo di permanenza di queste sostanze indesiderate. Le acque di superficie italiane risultano fortemente contaminate da prodotti vietati da tempo. Sono, ad esempio, molto diffusi i metaboliti dell’atrazina, un diserbante proibito già dal 1992 e definitivamente bandito dall’11/05/2004 (il metabolita 2-Idrossi Atrazina è ancora presente nel 66,7% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 33,8% di quelli delle acque sotterranee dove è stato cercato). L’aldicarb, revocato il 22/10/2003, è segnalato nel 20,7% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali in cui è stato cercato e nell’8,8% di quelle sotterranee.
I PIU’ ESPOSTI
I pesticidi rappresentano un rischio in primis per gli agricoltori che li usano. E infatti una ricerca condotta nella provincia autonoma di Bolzano ha dimostrato che, durante la stagione del trattamento a base di clorpirifos, i lavoratori del settore agricolo hanno livelli di TCPy urinario maggiori rispetto a quelli della stagione di non trattamento (Azienza Sanitaria del Sud Tirolo, 2017).
Ma il rischio si estende agli abitanti dell’intera area come risulta dalle analisi biologiche condotte dall’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari della Provincia Autonoma di Trento sulle urine di cittadini residenti in valle di Non (TN) non esposti professionalmente ai pesticidi: il contenuto di TCP, metabolita dell’insetticida chlorpirifos etil utilizzato nella coltivazione intensiva della mela, raddoppia passando dal mese di marzo, di non esposizione, al mese di maggio, di massima esposizione (Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari, 2009). Conclusioni analoghe sono state riscontrate in altri studi realizzati nella stessa zona.
IL RAPPORTO TRA RISCHI E VANTAGGI
Un tempo era opinione comune che l’agricoltura industriale intensiva, fortemente dipendente dalla chimica, fosse indispensabile per sfamare la popolazione mondiale in crescita. E c’è chi pensa che oggi occorra forzare ulteriormente il ciclo agricolo per compensare l’impatto del cambiamento climatico a cui la stessa agricoltura intensiva dà un rilevante contributo.
I fatti però raccontano una storia diversa. Sappiamo che l’aumento della produzione alimentare ottenuto con un forte aumento dell’uso di chimica di sintesi non solo non è riuscito ad eliminare la fame nel mondo, ma ha prodotto scompensi con conseguenze pesanti per la salute umana e per l’ambiente.
A marzo 2017 un rapporto delle Nazioni Unite ha assestato un duro colpo all’uso dei pesticidi, dichiarando un “falso mito” il mantra ripetuto dalle aziende agro-chimiche secondo cui l’uso dei pesticidi è necessario per garantire la produttività delle colture e dunque per perseguire l’obiettivo di azzerare il numero di persone denutrite. Secondo l’Onu il problema della denutrizione è causato da ineguaglianze e dunque è fondamentalmente un problema di distribuzione, non di quantità.
IL RUOLO DELL’AGRICOLTURA BIO
Una recente metanalisi dell’Università di Berkeley ha esaminato 115 ricerche scientifiche per confrontare agricoltura biologica e convenzionale concludendo che, almeno per alcune colture, non vi sono prove per affermare che l’agricoltura convenzionale sia più efficiente e dia rese maggiori rispetto a quella biologica. Ha anche affermato che: “Aumentare la percentuale di agricoltura che utilizza metodi biologici e sostenibili non è una scelta, è una necessità. Non possiamo semplicemente continuare a produrre cibo senza prenderci cura del suolo, dell’acqua e della biodiversità”.
Va infine ricordato che 15 pesticidi, unitamente a diossine e PCB, sono stati inclusi nella Convenzione di Stoccolma stilata per difendere la salute umana dai composti organici persistenti POP’s (Persistent Organic Pollutants), convenzione sottoscritta anche dall’Italia, unico Paese in Europa, tuttavia, a non averla ancora ratificata.
QUANTI PESTICIDI SI USANO?
La vendita ufficiale di pesticidi risulta calata di quasi il 12% dal 2001 al 2014 (Rapporto Ispra 2016). E le superfici regionali coltivate a bio sono arrivate di recente all’11,3 % della superficie agricola totale, con un aumento del 44% tra il 2013 ed il 2017.
A fronte di questi dati positivi ci sono però elementi allarmanti. Dal rapporto Eurostat del 2012 l’Italia risultava essere il primo Paese europeo per ricorso alla chimica di sintesi nella difesa delle colture, con un consumo di pesticidi per unità di superficie coltivata doppio rispetto a Francia e Germania.
Per valutare l’intensità dell’utilizzo di pesticidi è importante tenere presente vari elementi: il fatto che i pesticidi di nuova generazione siano molto più potenti di quelli del passato, almeno nei confronti di insetti fondamentali come le api; i tempi di permanenza nell’ambiente (abbiamo visto che l’atrazina è ancora diffusa nelle acque dopo oltre un decennio di bando totale); il consumo per ettaro di superficie coltivata (in Italia è stato pari a 7,2 kg/ettaro di pesticidi nel 2015).
I valori di picco si sono registrati nella Provincia Autonoma di Trento con 50,6 kg/ettaro e nella Provincia Autonoma di Bolzano con 43,8 kg/ettaro. Queste provincie sono caratterizzate da estese aree di coltivazione intensiva della mela con il metodo della lotta integrata, in cui si arriva localmente addirittura a picchi dell’ordine di oltre 90 kg/ettaro.
In Italia dunque resta un eccessivo utilizzo per uso agricolo, che fa del nostro Paese uno dei maggiori consumatori di pesticidi d’Europa.
CHE FARE?
Dai dati emersi risulta evidente la necessità di un adeguato sistema di monitoraggio nell’ambiente dei pesticidi e di un approfondimento dei loro effetti reali. I dati di vendita infatti non necessariamente coincidono con i consumi e non possono essere riferiti alle aree di impiego, se non genericamente e a scala molto ampia.
La costante presenza nei prodotti alimentari imporrebbe inoltre uno screening più serrato sugli esseri umani, in particolare mettendo in relazione i dati di contaminazione con eventuali picchi di patologie.
I Piani di Sviluppo Rurale, che forniscono all’agricoltura risorse pubbliche derivanti dai contribuenti, devono cessare di incentivare pratiche agricole ad alto impatto.
Serve, inoltre, un cambio delle pratiche di coltivazione per ridurre la chimica di sintesi e favorire la fertilità dei terreni e la loro resilienza tramite un incremento della sostanza organica. Anche la politica delle acque, stante la costante contaminazione da pesticidi, deve imporre agli enti locali di migliorare lo stato ecologico delle aree umide, aumentandone la capacità di filtrare e metabolizzare la grande quantità di sostanze che ha contaminato il nostro territorio negli ultimi 50 anni.
È essenziale infine portare alla luce queste tematiche sensibilizzando i cittadini e le amministrazioni comunali e mettendo a disposizione di tutti informazioni utili riguardanti i rischi derivanti dall’uso dei pesticidi e le alternative all’uso della chimica di sintesi, meno impattanti per l’ambiente e non nocive per la salute umana, da prediligere non solo in agricoltura ma anche nella cura del verde cittadino.