Vendite di pesticidi nella UE Italia in testa alla classifica

Dal rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente risulta che l’Europa sta fallendo l’obiettivo di mettere, entro il 2020, i suoi cittadini in sicurezza rispetto al rischio della chimica di sintesi nei campi

di Carlo Luciano


L’Europa sta fallendo l’obiettivo di mettere i suoi cittadini in sicurezza rispetto all’esposizione da pesticidi. E l’Italia è tra i Paesi che ne consumano di più. Sono le due notizie contenute nel rapporto annuale sulle vendite di pesticidi curato dall’Agenzia europea dell’ambiente (il rapporto).

Il punto di partenza dell’analisi è che il Settimo programma di azione fissa come obiettivo al 2020 l’assenza di danni sanitari e ambientali provocati dall’uso di prodotti utilizzati in agricoltura. Dunque l’impiego di pesticidi deve progressivamente diminuire. Peccato che non succeda: il quadro delle vendite è rimasto sostanzialmente stabile tra il 2011 e il 2015.

Questa situazione viene giudicata in contrasto con gli obiettivi da raggiungere perché gli effetti dell’impiego massiccio di prodotti di chimica di sintesi sono così descritti: “I pesticidi applicati alle colture possono penetrare nel suolo e nelle acque superficiali mediante lisciviazione e ruscellamento, e possono anche penetrare nelle acque sotterranee, con il rischio di incidere negativamente sulle specie non bersaglio sia negli ecosistemi terrestri sia in quelli acquatici”.

Tutto ciò determina una perdita di biodiversità, comprese grandi riduzioni delle popolazioni di insetti e dunque di servizi ecosistemici come l’impollinazione, la formazione e la composizione del suolo e la fornitura di acqua potabile pulita. Infine, osserva ancora l’Agenzia europea dell’ambiente, anche “i residui di antiparassitari negli alimenti possono rappresentare un rischio per la salute umana, mentre i residui nei mangimi comportano rischi per la salute degli animali e possono entrare nella catena alimentare”.

Infatti la somma dell’impiego di pesticidi e dei cambiamenti di uso del suolo è responsabile di una riduzione della biodiversità europea che arriva al 42% per gli invertebrati. Tra il 1989 e il 2013 alcune aree hanno registrato un calo dell’86% di impollinatori come le api.

Un’altra prova del rischio legato alla gestione agricola convenzionale viene dall’analisi delle acque: nel 2013 circa il 7% delle stazioni di analisi delle falde idriche ha registrato livelli eccessivi per uno o più dei 31 pesticidi misurati e dei loro prodotti di degradazione.

E dalle acque le sostanze indesiderate migrano verso le nostre case. Secondo l’ultima relazione annuale dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare, una percentuale ridotta dei cibi supera i livelli stabiliti per legge (il 97,2% dei campioni analizzati rientrava nei livelli massimi di residui di antiparassitari negli alimenti consentiti dalla legislazione europea). Ma – aggiunge l’Agenzia europea dell’ambiente, per valutare correttamente il rischio servono informazioni sulle vendite dei singoli pesticidi che al momento non sono disponibili. In realtà il regolamento sulle statistiche sui pesticidi avrebbe dovuto fornire dati importanti già nel 2016: non sono ancora arrivati.

E’ un quadro preoccupante che diventa decisamente allarmante in Italia: nel 2015, le vendite di pesticidi di Francia, Spagna, Italia, Germania e Polonia, hanno rappresentato il 72% delle vendite di antiparassitari dell’Unione europea. Cioè cinque Paesi, tra cui il nostro, hanno utilizzato quasi i tre quarti dell’intero consumo di pesticidi nella Ue. Un dato purtroppo confermato dai consumi di pesticidi per ettaro: ancora una volta l’Italia figura nel gruppo di testa, assieme a Malta, Paesi Bassi, Cipro, Belgio, Irlanda e Portogallo. Questi Paesi hanno superato i 5 kg di vendite di principi attivi di antiparassitari per ettaro (Malta sta a 15), a fronte di una media Ue di 3,8.

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