Più ombre che luci nel nuovo regolamento europeo per il settore biologico. Troppi compromessi rischiano di vanificare il lavoro dei produttori italiani. Serve un argine per frenare l’import di alimenti con standard di sicurezza e qualità spesso inferiori, e che aprono la strada a possibili frodi.
di Goffredo Galeazzi
Dopo oltre tre anni di negoziazione il 28 giugno scorso le istituzioni comunitarie hanno raggiunto l’accordo politico sulle nuove regole per la coltivazione e la commercializzazione dei prodotti da agricoltura biologica. Secondo il compromesso raggiunto le nuove regole saranno applicate dal 2020.
Adesso gli uffici tecnici stanno scrivendo il regolamento di base che potrebbe essere portato al Consiglio dei ministri di ottobre, per essere poi approvato definitivamente entro l’anno. Ma forti critiche si sono levate per i troppi compromessi raggiunti. E gli operatori italiani del settore contestano gran parte dell’impianto della riforma comunitaria. Agricoltori, trasformatori e distributori di alimenti biologici vorrebbero alzare un argine per frenare l’import di alimenti con standard di sicurezza e qualità spesso inferiori, e che aprono la strada a possibili frodi.
Sebbene ancora in fase di revisione, per il presidente di FederBio Paolo Carnemolla il pre accordo politico “non sembra adeguato e rischia addirittura di peggiorare la situazione attuale”, soprattutto sul fronte dei controlli per i prodotti di importazione, in particolare dai mercati extracomunitari, e sulle soglie di residui di fitofarmaci non ammessi nell’Unione europea. Insomma “vediamo più rischi che opportunità”. Stesse perplessità esprime il viceministro Olivero: “non vogliamo il regolamento a tutti i costi: se gli accorgimenti previsti, come le nuove normative che restringono le regole sulle importazioni o le certificazioni di gruppo, non si collocano in un contesto generale adeguato, allora non ne abbiamo bisogno”.
Roberto Zanoni, presidente di AssoBio, evidenzia due aspetti fondamentali per le imprese italiane del settore: la definizione di una percentuale di residui accidentali unica per tutti i paesi europei e l’obbligo di imporre il pagamento di sanzioni ai responsabili di eventuali inquinamenti accidentali. Due aspetti ai quali Carnemolla ha aggiunto la necessità di definire un sistema di certificazioni uniforme a livello Ue. Da Bruxelles anche Paolo De Castro, vicepresidente della commissione Agricoltura del Parlamento Ue, ha dichiarato che la riforma non è soddisfacente in quanto peggiora l’impianto normativo iniziale.
Il ministro delle Politiche agricole, Maurizio Martina, presente al Sana il 9 settembre, ha dichiarato a sua volta che non si possono accettare passi indietro sulla sicurezza e sulla sostenibilità dei prodotti. Anzi, ha aggiunto, serve un salto di qualità con l’approvazione al Senato del Testo unico sul biologico, che ha già passato il vaglio della Camera. Una legge utile per investire di più nella ricerca, organizzare meglio i produttori e valorizzare le produzioni sui territori attraverso i distretti del biologico.
Riguardo alla nuova normativa, Paesi come l’Italia, che hanno in vigore valori limite per la contaminazione accidentale di prodotti bio da pesticidi non autorizzati, hanno chiesto di mantenerli, con la Commissione che potrebbe proporre una legislazione sul tema non prima del 2024. Il compromesso raggiunto da Commissione europea, Consiglio UE e Europarlamento prevede un giro di vite sui controlli, anche per la vendita al dettaglio, l’ampliamento della platea di prodotti che potranno ottenere la certificazione bio, un regime di certificazione di gruppo per le piccole aziende agricole e norme più stringenti sulle importazioni da Paesi terzi, che dovranno rispettare il principio di conformità agli standard europei.