Quello che si potrebbe definire “il traffico dei veleni”, parafrasando il più noto “traffico dei rifiuti”, è un problema di cui poco si parla, ma che – viceversa – è di grandissimo rilievo. I dati riportati sono davvero inquietanti dal momento che ben un quarto di tutti i pesticidi utilizzati risulta essere illegale e – ancora una volta – il nostro paese si colloca, insieme alla Grecia, ai vertici della contraffazione.
di Patrizia Gentilini
Prima ancora di entrare nel merito della contraffazioni e del malaffare credo vada sottolineato il fatto che la legislazione del settore è comunque complessa e spesso contraddittoria. Il nostro Paese ha recentemente recepito la direttiva comunitaria 2009/128/CE per un “ utilizzo sostenibile dei pesticidi” attraverso il Decreto del 22 gennaio 2014 (“Adozione Piano d’Azione Nazionale sull’uso sostenibile dei prodotti fitosanitari ai sensi dell’articolo 6 del decreto legislativo 14 agosto 2012, n. 150”). Questo passo non appare rassicurante per la tutela della salute umana: ad esempio, sostanze vietate o messe fuori commercio per la loro elevata tossicità godono comunque di deroghe e continuano a essere quindi utilizzate in modo perfettamente legale. Contemporaneamente, sostanze vietate nel nostro Paese non lo sono in altri di cui poi importiamo i prodotti alimentari. Ma il vero punto è che non si può tacere che il concetto stesso di “uso sostenibile” dei cosiddetti “agrofarmaci” è un ossimoro perché i pesticidi (se vogliamo chiamarli con il loro nome) sono sostanze tossiche e velenose, studiate per danneggiare o uccidere varie forme di vita, ma alla fine più o meno pericolose per tutti gli esseri viventi.
Altre due considerazioni mi sorgono comunque sul tema della contraffazione degli agrofarmaci. Parlare di corruzione in Italia è ormai diventato talmente consueto che non quasi non ci suscita più alcuna reazione, eppure il problema della corruzione, del malaffare e della salute sono in stretta relazione perché i controlli ambientali sono scarsi e spesso non affidabili, i disastri ambientali ricorrenti e quasi sempre impuniti per cui, a pensarci bene, di fatto le mappe della corruzione, dell’inquinamento e delle malattie coincidono. E questo non riguarda solo aree come la Terra dei Fuochi, ma purtroppo, a mio vedere, l’intero paese. Il “segnale” che in Italia la situazione ambientale è particolarmente grave l’ho colto esattamente nel 2008 quando, in una pubblicazione dell’ AIRTUM ( Associazione Italiana Registri Tumori) si riportava che l’incremento percentuale annuo di tumori nell’infanzia ( 0-14 anni) nel nostro paese era doppio (2% annuo), rispetto alla media europea (1,1% annuo). Addirittura nel primo anno di vita l’aumento di cancro risultava del 3.2% annuo.
È ovvio che i bambini – specie nel primo anno di vita- non fumano, non bevono, non hanno particolari stili di vita a rischio (sempre invocati per spiegare la genesi del cancro) e che pertanto era giocoforza prendere in considerazione l’esposizione dell’embrione e del feto alle centinaia di sostanze tossiche e cancerogene – presenti ormai stabilmente nei nostri corpi – che passano dalla madre al feto attraverso il cordone ombelicale ed esercitano la loro azione nel momento più cruciale dello sviluppo: quello della vita intrauterina. E purtroppo questo triste primato si conferma in un aggiornamento sulla incidenza a livello mondiale del cancro nell’infanzia (0-14 anni) e nell’adolescenza (15-19 anni) nel periodo 2001-2011 di recente pubblicato su Lancet Oncology.
L’altra considerazione – per me parimenti cruciale – è che non vorrei che il fatto che si parli di pesticidi contraffatti faccia passare il concetto che l’uso di pesticidi “legali” e “autorizzati” sia innocuo o comunque non tale da suscitare particolari preoccupazioni. Purtroppo mi sono assolutamente convinta che non esista, come già detto, un “uso sostenibile” dei pesticidi e che l’agricoltura debba imboccare una strada radicalmente diversa se davvero vuole tutelare la salute dei lavoratori e dei consumatori. La letteratura scientifica infatti che prende in esame la relazione fra queste molecole e la salute umana è vastissima: digitando su un motore di ricerca in data 26 giugno 2017 parole chiave come “pesticides human health” compaiono 16.556 lavori scientifici e digitando “pesticides children” ne compaiono 6.322.
Tra questi moltissimi sono i lavori scientifici che attestano, ormai in modo incontrovertibile, come l’esposizione a pesticidi comporti un incremento statisticamente significativo del rischio di patologie cronico/degenerative oggi in drammatica espansione quali cancro, diabete, patologie respiratorie, malattie neurodegenerative, cardiovascolari, disturbi della sfera riproduttiva, infertilità maschile, disfunzioni metaboliche e ormonali, patologie autoimmuni, disfunzioni renali. Queste molecole possono agire ad ampio raggio su tutte le principali funzioni cellulari inducendo alterazioni che ben spiegano l’ampia varietà di ricadute negative per la salute umana sopra elencate e che rendono i pesticidi uno dei più importanti fattori di rischio per le patologie cronico/degenerative e per gli organismi in via di sviluppo. Fra le principali azioni esercitate ricordiamo le modificazioni genetiche ed epigenetiche, le perturbazione della conduzione neuronale, l’ alterazione dell’attività enzimatica specie per interferenza con l’acetilcolinesterasi, lo stress ossidativo e l’azione di “interferenza endocrina”.
Questa ultima azione comporta la possibilità dei pesticidi di interferire con la capacità delle cellule di comunicare tra loro attraverso gli ormoni e vastissima è la gamma di effetti negativi per la salute che ne conseguono: difetti di nascita, deficit riproduttivi, di sviluppo, alterazioni metaboliche, immunitarie, disturbi neurocomportamentali e tumori ormono-dipendenti. Altra caratteristica comune per le sostanze dotate di questa modalità d’azione è che non esistono soglie di sicurezza e anzi, paradossalmente, dosi molto piccole possono essere più pericolose delle dosi elevate. Queste sostanze inoltre possono esplicare effetti negativi non solo sull’individuo esposto, ma anche sulle sue cellule germinali con effetti trans-generazionali, eventualità che aumenta ulteriormente le preoccupazioni della comunità scientifica.
Per riallacciarmi poi alla considerazione inerente i tumori infantili segnalo che è ormai assodato che nei bambini figli di agricoltori o comunque esposti a pesticidi aumenta – oltre a malformazioni, morte fetale, danni sullo sviluppo neuro-cognitivo e comportamentale – anche il rischio di cancro e in particolare di linfomi, leucemie e tumori cerebrali. Si conferma che l’esposizione in utero è particolarmente pericolosa: una revisione di 13 studi caso-controllo pubblicati fra il 1987 e 2009 per indagare il rischio di leucemia infantile ed esposizione a pesticidi ha evidenziato che il rischio più elevato, oltre il doppio dell’atteso, si aveva per esposizione durante la gravidanza anche a pesticidi per uso domestico.
Una ulteriore analisi ha confermato per l’esposizione “indoor” (in particolare a erbicidi) un incremento statisticamente significativo del 46% per la leucemia infantile e del 26% per i linfomi . Ma anche l’esposizione paterna prima del concepimento a pesticidi rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di cancro nella prole: per i tumori cerebrali, ad esempio, un rischio oltre il doppio dell’atteso si registra proprio per questo fattore che risulta quindi più pericoloso della stessa esposizione in utero o nell’infanzia. Ma non sono solo i tumori del sistema emolinfopoietico e cerebrali a subire un incremento del rischio: uno studio condotto in Spagna su 3.350 casi di cancro infantile e 20.365 controlli sani ha analizzato la presenza e l’intensità della attività agricola entro un chilometro dalla residenza dei bambini. È emerso che tutte le tipologie di cancro infantile, dai neuroblastomi ai sarcomi, dai tumori epatici a quelli renali sono aumentati, spesso in modo elevato e statisticamente significativo quanto più intensa è l’attività agricola.
Che dire, in conclusione, se non che dovremmo finalmente prendere atto del fallimento dell’agricoltura industriale le cui conseguenze negative non solo sull’ambiente ma sulla stessa salute umana sono ormai innegabili?
È quindi urgente che sia nei consumatori che nei lavoratori addetti si faccia strada il concetto di una “nuova agricoltura” che rifugga dall’utilizzo della chimica e contempli metodi di coltivazione più rispettosi dei cicli naturali in grado di preservare la qualità dei suoli, la salubrità del cibo e della stessa salute umana. L’agricoltura industriale, stravolgendo il rapporto con la Terra e quelle pratiche agricole che per millenni ci hanno dato con fatica e sudore nutrimento e vita, è oggi portatrice di morte per l’uomo e per l’ambiente e se non vogliamo rimanere vittime di questo assurdo modello di produzione e consumo del cibo dobbiamo avere il coraggio di cambiare.